Un primo calotipo vai al Forum

Seguendo le orme dei pionieri della fotografia
di Enrico

 

Volevo condividere con voi un mio progetto. All'inizio di gennaio ho iniziato la costruzione di una macchina fotografica in legno, del tipo di quelle con cui Talbot eseguì i suoi calotipi. Lo scopo era quello di rieseguire appunto quelle prime immagini, tornando materialmente agli albori della nascita della Fotografia.

Ho quindi rimesso in funzione il mio tavolo da lavoro, rispolverando seghetti, colle, mordenti e vernici. Il primo passo è stato quello di costruire l'obiettivo. Mi sono così procurato da un ottico due lenti da occhiale da 3 diottrie ciascuna. Con i dati di lunghezza focale ed angolo di copertura di questo semplice obiettivo, sono passato al progetto di tutti gli elementi ed alla loro realizzazione pratica, sfruttando tutti i momenti liberi delle mie giornate. Qualche giorno fa ho terminato l'impresa.

Nell'immagine sopra, i tre moduli: a sinistra quello col vetro smerigliato per la messa a fuoco e l'inquadratura, al centro quello con l'obiettivo (in basso il tappo copriobiettivo e due diaframmi; il terzo, un f/8, è sulla lente frontale); a destra il modulo "chassì" destinato a contenere la carta sensibile


Un primo piano del modulo portaottica

ed un primo piano del modulo col vetro smerigliato
Il modulo "chassì" col volet abbassato

Il modulo col vetro smerigliato è inserito all'interno del modulo portaobiettivo.
Sul basamento si vede la scala per le distanze e sul secondo modulo il
riferimento per la messa a fuoco


Lo chassì è inserito nel modulo portaottica

Il volet è sollevato e la macchina è in fase di esposizione:

Una immagine dal vetro smerigliato di ciò che si vede dal terrazzino di casa:

Oggi la giornata non è delle migliori: il cielo è coperto ed i contrasti sono bassi. Ma non ho saputo resistere. Ho ritagliato un rettangolo di 13 x 14 cm (il formato della mia macchina) e l'ho immerso in una soluzione debole di sale da cucina. L'ho asciugato con il phon. Per ripetere in tutto il procedimento di Talbot, ho preso una candela (non vi racconto cosa mi ha detto mia moglie quando mi ha visto salire le scale con la candela accesa...) ed al suo debole lume ho passato sulla carta qualche pennellata di una soluzione di nitrato d'argento, tornando ad asciugare il tutto col phon. Ho quindi inserito la carta nello chassì. Ho posizionato la macchina sul terrazzino, ho messo a fuoco, notando la posizione del riferimento, ho estratto il modulo col vetro smerigliato e vi ho sostituito lo chassì, facendo coincidere il suo riferimento di messa a fuoco con il primo. Ho alzato il volet. DOpo un'ora ed un quarto ho ritirato il tutto. Si è trattato di un primo esperimento il cui scopo è stato, fra l'altro, quello di avere una stima della sensibilità della carta per poter aggiustare successivamente il tiro con l'esposizione. La luce della scena era tale da darmi, con la D200, una esposizione di 1/250 ad f/8 e 400 ISO.
Ho sbirciato alla luce della solita condela e, perbacco, qualcosa si vedeva!
Senza effettuare il fissaggio (Talbot stabilizzava i suoi negativi con una soluzione forte di sale da cucina; solo dopo, su consiglio di Herschel, utilizzò il tiosolfato di sodio), ne ho fatto una scansione:

E' un negativo leggero, sottoesposto, ma qualcosa si vede.


Ne ho tratto un positivo con Photoshop

Questa è l'immagine presa con la D200
dallo stesso punto

Non è una immagine eccezionale, si notano le pennellate e le grinze della carta, ma si vedono anche i rami dell'albero, il comignolo e le falde dei tetti ricoperti di neve. Qualcuno potrebbe dire che "è una vera schifezza", ma Niepce non ottenne di meglio con la sua fotografia su bitume di Giudea. Ora si tratta di perfezionare il procedimento e di fare altre prove.

In tempi dominati dal digitale e da una tecnologia molto avanzata, è bello ripetere i tentativi e ripercorrere le strade degli antichi pionieri e l'emozione è forte.


Secondo esperimento. Ho aumentato l'esposizione a due ore, anche in considerazione che per un po' è uscito un bel sole. Ho letto che Talbot smise di fare i suoi esperimenti nella stagione invernale a causa dei tempi di posa troppo lunghi, per riprenderli al sole dell'estate.

Questa volta ho voluto utilizzare, considerate le grinze del primo supporto, qualcosa di più consistente, così ho utilizzato un cartoncino liscio da disegno. Questa volta il risultato è decisamente migliore del primo e si notano con chiarezza molti elementi del fabbricato, dei balconi e si vede bene perfino una parabola televisiva. Unico inconveniente è che delle zone non hanno preso le sostanze chimiche. Probabilmente la colpa è del cartoncino liscio e del metodo che ho usato per trattarlo. Infatti nel negativo ci sono delle zone completamente bianche (nere nel positivo).


Cercherò di perfezionare la parte chimica dell'esperienza. Domattina acquisto due pennelli più larghi e morbidi e delle puntine da disegno con le quali stendere la carta su di un supporto di compensato, per evitare che raggrinzisca, una volta sottoposta alla soluzione di sale e di nitrato d'argento. Userò di nuovo la carta del blocco per schizzi perchè più assorbente. Preparerò le soluzioni con più attenzione, utilizzando acqua distillata anziché quella del rubinetto e ne porterò la concentrazione per entrambe a 0,01 moli per litro e non "a naso" come ho fatto fin'ora.

La procedura è quella di bagnare la carta con una soluzione di sale da cucina (cloruro di sodio). Una volta asciutta, passo col pennello una soluzione di nitrato d'argento. Ciò crea dei fini precipitati di cloruro d'argento insolubile fra le fibre della carta (e nitrato di sodio solubile).
Mi propongo alcuni obiettivi:
a - produrre una distribuzione del cloruro d'argento il più uniforme possibile perché non si formino chiazze di diversa densità e macchie.
Mediante delle prove, vedrò se è meglio immergere totalmente la carta nella soluzione di cloruro di sodio (come ho fatto fin'ora) o passare anche questa col pennello (usando naturalmente un pennello diverso per ogni soluzione).
b - Vedere quali sono le concentrazioni più adatte e in che rapporto debbono stare. Talbot scoprì che la carta diventava più sensibile se si utilizzava una soluzione debole di sale da cucina ed una forte di nitrato d'argento. Si tratta di indicazioni qualitative (debole quanto? forte quanto?) da stabilire quantitativamente mediante delle prove. Se la concentrazione del sale da cucina invece prevale, la carta perde sensibilità; Talbot infatti usava agli inizi come stabilizzatore (non si può parlare di fissaggio perchè così non si eliminava il cloruro non colpito dalla luce), una soluzione forte di sale da cucina dopo l'esposizione.

In queste prove, ripeto i suoi primi procedimenti: praticamente sto usando una carta ad "annerimento diretto". Fu Talbot infatti a scoprire in seguito l'immagine latente ed a svilupparla con l'acido gallico. Non so se tale acido si trovi ancora oggi. Allora si estraeva dalle galle e dalla pianta di sommacco. Ho chiesto ad un amico farmacista di vedere se si trova.
Pare che Talbot abbia saputo delle proprietà dell'acido gallico da una comunicazione di un certo reverendo Reade la cui storia è gustosa. Reade stava ripetendo gli esperimenti di Wedgwood col nitrato d'argento per i quali questi utilizzava il cuoio perchè risultava più sensibile della carta. Così Reade utilizzò un paio di guanti di capretto che la moglie gentilmente gli diede. Ma alla seconda richiesta la signora giustamente si rifiutò. Pensando che la maggior sensibilità della pelle rispetto alla carta dipendesse dalle sostanze usate per la concia, pensò bene di "conciare" la carta. Allora per la concia si usava l'acido gallico...
Vedrò anche se, asportando mediante lavaggio il nitrato di sodio solubile, aumenta la sensibilità.

In effetti il primo (e molto prima di Talbot) a fissare l'immagine di una camera oscura, fu Niepce che però abbandonò l'impresa, sia perchè non riuscì a renderla stabile, sia perchè i toni risultavano invertiti e si dedicò a trovare una sostanza che alla luce non annerisse ma imbianchisse.

Più avanti, ho pensato di preparare della carta all'albumina.
Sono convinto che un conto è studiare la storia della fotografia, un conto è riviverla. Le emozioni che ciò mi procura, valgono bene tutta la fatica ed il tempo che ciò richiede.
Per evitare che la carta raggrinzi, ho preparato un supporto di compensato sul quale stenderla.

Ho fatto delle prove di esposizione per vedere quali fossero le migliori concentrazioni di cloruro di sodio e di nitrato di argento. Per far questo ho preparato tre soluzioni di cloruro di sodio alla concentrazione di 0,01 moli/litro, di 0,1 moli/litro e di 0,5 moli/litro e tre soluzioni di nitrato d'argento anch'esse alle concentrazioni di 0,01 moli/litro, di 0,1 moli/litro e di 0,5 moli/litro.

Per preparare le soluzioni a diversa concentrazione, ho preparato una soluzione madre di nitrato d'argento 0,5 molare sciogliendone 17 grammi in 200 ml di acqua distillata, ed una soluzione madre di cloruro di sodio sciogliendo 5,84 grammi di sale da cucina in 200 ml di acqua distillata (una mole di cloruro di sodio ha una massa di 58,44 grammi ed una di nitrato d’argento, di 169,91 grammi).
Da queste, per preparare le soluzioni alla concentrazione 0,1 molare, ne ho prelevato 1 ml e vi ho aggiunto 4 mol di acqua distillata.
Per preparare le soluzioni alla concentrazione 0,01 molare, ho prelavato 1 ml da queste seconde soluzioni e vi ho aggiunto 9 ml di acqua distillata.

Ho suddiviso una striscia di carta (dello stesso tipo che sto usando per i calotipi) in quattro parti:
- nella prima a sinistra ho utilizzato concentrazioni 0,01 molare delle due soluzioni
- nella seconda di 0,1 molare delle due soluzioni
- nella terza di 0,5 molare delle due soluzioni
- nella quarta (all'estremità destra) una soluzione 0,1 molare di cloruro di sodio e 0,5 molare di nitrato d'argento.

Nelle prime tre le concentrazioni dei due sali sono uguali; nella quarta ho voluto provare, come diceva Talbot, con una soluzione debole di cloruro di sodio ed una forte di nitrato d'argento.

Ho fatto asciugare un po' la striscia al buio, quindi l'ho portata coperta in pieno sole, l'ho scoperta ed ho cominciato a scattare ad intervalli successivi con la D200 per vedere cosa succedeva (mi sono reso conto che sarebbe stato meglio esporre la striscia all’ombra dove gli annerimenti avrebbero proceduto più lentamente). I tempi dei relativi scatti li ho potuti ricavare dai dati exif delle immagini.


Dopo 11 secondi di esposizione

Dopo 28 secondi di esposizione

Dopo 49 secondi di esposizione

Dopo 49 secondi di esposizione (1' e 58")

Dopo 630 secondi di esposizione (10 minuti e 30 secondi)

Le conclusioni che ho potuto trarre sono che:
la concentrazione di 0,01 moli/litro è troppo bassa e quindi non va usata
la seconda e la terza combinazione sono buone, mentre l'ultima annerisce di meno ed in ritardo, e questo contrasta con le osservazioni di Talbot, devo capire come mai. Una ipotesi che però non regge, essendo Talbot un conoscitore della chimica, è che prima si usassero delle concentrazioni uguali in peso, nel qual caso, si sarebbe avuto, a reazione avvenuta, un eccesso di cloruro di sodio, essendo diverse le masse molari dei due sali.
La terza si è dimostrata la combinazione con maggior sensibilità, ma anche la seconda è buona e richiede un minor uso di nitrato d'argento che è piuttosto costoso. Proverò queste due combinazioni mediante la macchina per calotipi.


Terzo calotipo, questa volta riprendendo il palazzo di fronte,
dal terrazzo del piano-notte.
L'esposizione è durata un'ora e tre quarti. L'immagine è un po' granulosa
perchè ho utilizzato la carta da schizzi.

Altre due prove, utilizzando però dei fogli che avevo trattato con la soluzione di sale da cucina il giorno prima. Erano quindi bene asciutti. Volevo valutare se potevo preparare così una scorta di "carta salata" da sensibilizzare di volta in volta. Ho esposto un quarto calotipo per circa 2 ore, ma quando l'ho ritirato, è stata una delusione: non c'era quasi traccia di immagina (la scena era luminosissima) e la carta aveva una zona scura in basso ed il resto era di una tonalità intensa di giallino. Prima sovraesposizione? Sarebbe dovuto apparire tutto molto scuro.
Ho quindi sensibilizzato un secondo foglio (salato il giorno prima) e ho ripetuto l'esposizione per un tempo di un'ora e un quarto. Il risultato è stato un negativo sottoesposto

Ho gettato nel caminetto i fogli presalati (credo che dipenda da quello, forse la carta non deve asciugare completamente dopo che è stata immersa nella prima soluzione) ed oggi ho trattato un altro foglio (di tipo diverso, di quelli ruvidi da disegno: sto sperimentando per trovare la carta più adatta) con acqua salata, l'ho asciugato parzialmente col phon e l'ho quindi sensibilizzato con la solita soluzione di nitrato d'argento. Ho ripreso la stessa scena del primo calotipo (tempo di esposizione 1 ora e 46 minuti)


Come potete vedere compare la struttura a righe della carta. L'immagine è ben dettagliata. Il muretto è di un bel bianco perché gli operai hanno finito di intonacarlo e pitturarlo. Sulla sinistra si notano alcuni alberi di Piazza Torlonia spuntare da dietro le costruzioni. Al di sopra del muro le pareti erano in ombra e quindi non hanno molto dettaglio. In ogni caso, sono riuscito a sensibilizzare la superficie della carta in modo uniforme e non si notano né macchie né zone di diversa densità.

Per quanto riguarda la comparsa nell'immagine della struttura della carta (vedi anche 3° caoltipo), questo era un pregio del calotipo perché portava ad una immagine di tipo pittorico (i pittorialisti, quando la fotografia si fu definitivamente affermata, cercarono di ottenere immagini sgranate, flou), ma era anche un difetto poichè la fotografia (con i dagherrotipi soprattutto che possedevano una incisività eccezionale) appariva straordinaria proprio per la sua capacità di riprodurre i più minuti dettagli, cosa che era impossibile fare con la pittura. La fotografia infatti nacque e si diffuse proprio con i dagherrotipi (chissà che in futuro non provi anche con questi..) che presentavano una superiore qualità. Erano però esemplari unici, mentre il calotipo, mediante il processo negativo-positivo poteva essere duplicato innumerevoli volte.

Nono calotipo. Ho voluto fare qualcosa di diverso dai soliti palazzi ed ho sistemato sotto il ballatoio che dà sul giardino della mia abitazione, una sediolina ed un annaffiatoio. Quando ho iniziato la ripresa, batteva il sole. Ben presto però è scomparso dietro un fabbricato vicino (il sole invernale "vola" basso nel cielo) mettendo in ombra il mio soggetto. Ho interrotto l'esposizione dopo 2 ore e 27 minuti e questo è il risultato

Si vede molto bene la poltroncina ed il ballatoio. Si percepisce anche un po' l'innaffiatoio sulla destra che, essendo di colore verde (non sono ancora arrivato all'ortocromatismo), è venuta di un grigio scuro che si confonde un po' con lo sfondo. L'immagine difetta di uniformità perchè ci sono delle zone che non hanno preso bene le soluzioni. Potrebbe dipendere forse dalla colla con cui viene spesso trattata la carta.

Il decimo calotipo è stato un fallimento: nessuna immagine dopo un lungo tempo di esposizione.
Quindi ho sensibilizzato un altro foglio di carta: lavaggio in acqua corrente per eliminarne la colla, stesa della soluzione di sale da cucina, quindi asciugatura con il phon. Stesa quindi della soluzione di nitrato d'argento e nuova asciugatura, questa volta tenendo il phon distante perché pensavo che le irregolarità potessero dipendere dalle gobbe della carta bagnata e dall'azione dell'aria calda che poteva soffiare via la seconda soluzione dai dossi. Ho inserito la carta nello chassì ed ho avviato l'esposizione. Intanto ho preparato della nuova carta e, poichè avevo lezione alle 10, ho proceduto in fretta, asciugando sommariamente la carta dopo la prima soluzione, e spennellando la seconda. Ho messo la carta dentro uno scatolone in cantina ed ho lasciato che si asciugasse da sé. Poi, di corsa a scuola.
Tornato a casa dopo quattro ore, ho aperto lo chassì e... seconda delusione.

Niente di niente. La prima ipotesi che mi è venuta, considerato che in entrambi i casi i soggetti erano in ombra, è stata quella di un notevole "difetto di reciprocità", per cui era necessario, per ottenere buoni risultati, lavorare in pieno sole. Oltretutto, il cielo si è ricoperto di nuvole già nella tarda mattinata. Ho comunque ricaricato lo chassì con la carta che avevo preparato in mattinata e che nel frattempo si era asciugata ed ho ripreso la finestra dall'interno della camera da letto.
Nell'attesa, sono uscito sul terrazzino per portare alla luce l'undicesimo calotipo, così come avevo fatto ieri per il decimo, al fine di vedere se si anneriva (e quindi si trattava di un problema di esposizione) o non si anneriva (e forse c'era qualcosa che non andava nei bagni, ma cosa?). Prima di portare all'aperto il 10° calotipo, ho voluto provare a risensibilizzarlo, spennellando del cloruro di sodio e, senza aspettare che asciugasse, del nitrato... tanto era solo una prova.
Il risultato era che la carta si era scurita in misura ridotta, nonostante le molte ore di esposizione alla luce del giorno, mentre dove avevo ripassato le soluzioni, si era formato un nero pieno. Che vuol dire?
Ecco il decimo e undicesimo calotipo:


Decimo calotipo

Undicesimo calotipo
(Non ritrattato col pennello)
Scarso annerimento, tranne che in alcuni punti con delle macchie molto scure.

Credo di aver capito. La mia ipotesi è che la seconda soluzione agisce bene solo se la prima non è asciutta completamente. Immaginavo che il cloruro di sodio, che anche se asciutto si trova fra le fibre della carta, avrebbe reagito normalmente con il nitrato. Anche perché su diversi libri ho letto che Talbot lasciava asciugare la carta dopo ogni trattamento. Ma forse non bisogna fidarsi troppo di quello che si legge nei libri. La mia teoria potrebbe cogliere nel segno, visti i risultati ottenuti col 10° e con l'11° calotipo. Quelle macchie scure, potrebbero essere le zone dove la prima soluzione non si è asciugata completamente al momento del trattamento con la seconda. Nei primi calotipi in effetti, non aspettavo troppo prima di passare la seconda soluzione.

Ho estratto il dodicesimo calotipo dalla macchina, dopo una esposizione di 2 ore e 35 minuti. E' un po' sottoesposta, ma si tratta di un interno...
L'immagine c'è, e ci sono anche le macchie di cui, forse, ho capito la ragione. Non mi piace la struttura di questa carta da disegno. L'ho presa perchè è spessa e rigida e le pieghe, una volta bagnata, sono ridotte, ma ha una grana troppo grossa.


Ho provato quindi con questa procedura:
lavo la carta in acqua corrente e la faccio sgocciolare. Poi passo la soluzione di nitrato d'argento (questa volta passo prima il nitrato perchè così non corro il rischio di inquinare questa soluzione che è certo molto più costosa del sale da cucina; ho preparato 120 ml di soluzione e di volta in volta ne verso in un bicchiere di plastica una quantità per 2 o tre calotipi).
Senza aspettare che asciugi troppo, passo la soluzione di sale da cucina.

Mi sono recato presso un negozio di articoli per belle arti ed ho acquistato un grosso foglio di carta per acquerello. La carta per acquerello, ho pensato, deve essere fatta apposta per assorbire i colori e quindi andrà altrettanto bene per le mie soluzioni chimiche. Si tratta di carta satinata di pura cellulosa, bella consistente (300 grammi al metro quadro), con collatura alla gelatina. Ne ho tratto 20 rettangoli per la mia macchina. Poi ho provato a sensibilizzarne uno, seguendo il procedimento che mi ero proposto: l'ho bagnata e lasciata asciugare all'aria, quindi ho passato per prima la soluzione di nitrato d'argento, spennellandola poi con quella contenente il sale da cucina. Si è immediatamente formato un precipitato bianco e granuloso di cloruro d'argento, visibile ad occhio nudo, e ne è rimasto impregnato anche il pennello. Ho messo la carta ad asciugare in una scatola, coperta appena da un cartone in maniera che circolasse aria. Quando sono tornato a prenderla per inserirla nello chassì, mi son reso conto che non era utilizzabile. Si era scurita (mia moglie era entrata in cantina accendendo la luce?) e si presentava irregolare e granulosa. La carta è rimasta alla luce ed ha continuato a scurirsi.

Ho allora fatto una prova. Su di un avanzo di carta, ho passato a sinistra prima il cloruro di sodio e poi il nitrato d'argento (come ho fatto fin'ora), ed a destra prima il nitrato d'argento e poi il sale da cucina (il contrario).

Osservando il risultato, mi sono convinto a continuare come ho sempre fatto, salvo a non attendere che la prima soluzione asciughi completamente.

Ho voluto fare un'altra prova. Ho passato la soluzione con il cloruro di sodio su di un altro foglio di carta. Quando il foglio era ancora umido (il velo di liquido era scomparso, ma la superficie non si era ancora asciutta), procedendo a lume di candela alla maniera di Talbot (ho fatto urtare inavvertitamente la lampadina rossa che si è rotta), ho passato la soluzione di nitrato d'argento. Ho asciugato lentamente con phon ed ho esposto il foglio alla luce


L'annerimento è uniforme, tranne qualche traccia che tradisce l'andamento
delle pennellate.

Una riflessione: ho un grosso vantaggio in questa esperienza. Anche se incontro qualche difficoltà, so che raggiungere un buon risultato è possibile, perchè altri ci sono riusciti prima di me.


Ho ritrovato in soffitta un obiettivo di una vecchia macchina di mio padre sul barilotto è scritto: "Simplex Rapid Aplanat N. 3". C'è un diaframma regolabile, ma non ci sono i numeri f/, solo dei valori di riferimento:
1 - 2 - 3 - 4. A 4 corrisponde la massima apertura.

Per raggiungere un obiettivo bisogna crederci. E Talbot, Daguerre ci credevano. Niepce si lasciò scoraggiare dai risultati ottenuti con l'argento e si rivolse al bitume di Giudea, un vicolo cieco. Prima di lui Wegdwood abbandonò le ricerche sul nitrato d'argento. Ma ciascuno fece avanzare di un piccolo passo la ricerca. Non ricordo chi ha detto che non è il singolo uomo a fare una scoperta, ma l'umanità. Vale a dire che, quando i tempi sono maturi per una invenzione, ci sarà qualcuno che la farà. E spesso persone diverse, di località differenti e che non si sono mai viste, raggiungono risultati simili quasi contemporaneamente. La stessa cosa è successa con la Fotografia. In maniera indipendente e per vie diverse, agli inizi dell'800 Daguerre e Bayard (di cui poco si parla) in Francia e Talbot in Inghilterra diedero vita ad un antico sogno.
Ho letto proprio ieri di un episodio storico gustoso che mi piace riportarvi, a proposito dei tempi di posa necessari quando la Fotografia faceva i primi passi:
Nel 1840 il Mining Journal riportava una disposizione: "All'inaugurazione della ferrovia di Courtrai, in Belgio, la camera oscura dev'essere sistemata in un punto dal quale domini il palco reale, la locomotiva, i vagoni e la parte principale del corteo, e dovrà venir messa in azione nel momento stesso in cui verrà pronunciato il discorso inaugurale. Un colpo di cannone darà il segnale d'inizio e tutti dovranno restare immobili per sette minuti, cioé il tempo necessario per ottenere una buona immagine di tutte le personalità presenti".
Sette minuti: con la mia macchina calotipica, per adesso... un sogno!

Ho costruito una scatola per l'asciugatura della carta senza dover usare il phon. Ho utilizzato del cartoncino nero. Il coperchio è più largo di tra cm per lato ed è più alto (6 cm contro 4 cm) del fondo. Sui lati ho praticato 6 aperture rettangolari, ripiegandone all'interno il battenti, così che servissero anche a mantenere il coperchio uniformemente centrato. All'interno il buio è assicurato ed è assicurata anche la necessaria circolazione dell'aria.

Ho realizzato un tredicesimo calotipo. Ho capito che la scena deve essere ben illuminata ed il contrasto deve essere elevato. Questo perché il mio materiale sensibile è una carta ad annerimento diretto: mano a mano che l'immagine si forma, l'annerimento che ne deriva fa da maschera agli alogenuri sottostanti. Dopo una esposizione di 2 ore e 20 minuti, ecco il risultato. Ancora non siamo al traguardo.

Nel frattempo, ho fatto qualche scatto con la D200. Ma al vetro smerigliato della macchina per calotipi.
Lo scopo è stato quello di fare qualche considerazioni sul mio obiettivo, composto da due menischi convergenti da 3 diottrie ciascuno, e quindi soggetto a molte aberrazioni.
Il mio obiettivo a tutta apertura, corrispondente ad un f/4

Il fuoco di questa e delle immagini che seguono, è sul travertino posto in cima al muretto. L'immagine è di pessima qualità e la sua "nebbiosità" è dovuta soprattutto all'aberrazione sferica (i raggi che passano in prossimità del centro della lente, vengono a fuoco in punti diversi rispetto a quelli che passano in prossimità dei bordi). Il mio è quindi un obiettivo a fuoco morbido, forse adatto per i ritratti. Di certo, i difetti della pelle scomparirebbero, ma si vedrebbe poco anche della modella.


Obiettivo con anteposto un diaframma pari ad un f/8


Diaframma pari ad un f/8. La nitidezza è migliorata parecchio. Tenete conto che il fuoco è ancora sul muretto, per cui il fabbricato risulta sfuocato. Si nota la presenza dell'aberrazione cromatica, specie al confine fra il tetto ed il cielo. La granulosità del vetro smerigliato è più evidente.

Diaframma f/5,6. Il fuoco è al centro del muro. La distorsione di campo (Il fuoco di punti posti nella realtà su di una superficie piana, cade su di una superficie curva, così che non è possibile tenere contemporaneamente a fuoco il centro ed i bordi), è visibile perchè il travertino è nitido al centro e sfuocato sui bordi

Ho quindi focheggiato in modo da avere a fuoco i bordi destro e sinistro del muro. Il risultato è che ora è fuori fuoco il centro

Credo che attraverso una esperienza di questo genere, si possa ricavar molto da un punto di vista didattico, da trasferire nei corsi di fotografia dove spesso si parla di aberrazioni dandone solo la definizione.

Quindicesimo calotipo. E' decisamente il migliore di tutti quelli fatti fin'ora. Credo che anche Talbot ne sarebbe stato entusiasta.
Nonostante l'obiettivo artigianale e grazie alla diaframmatura f/5,6, la nitidezza è più che soddisfacente. Sono soddisfatto anche della scala dei grigi. Per la prima volta mi sono cimentato in una composizione. Si distinguono benissimo anche i due innaffiatoi

Ho utilizzato la carta da disegno rigata, la stessa che mi aveva dato buoni risultati col sesto calotipo. Poi ho utilizzato questa procedura:
- ho bagnato la carta, usando un pennello, con acqua distillata
- ho lasciato che asciugasse parzialmente
- ho passato con cura il pennello bagnato in una soluzione di cloruro di sodio in acqua distillata (in precedenza usavo quella di rubinetto)
- ho lasciato asciugare spontaneamente per qualche minuto, poi ho dato una passata di phon
- ho passato con un altro pennello la soluzione di nitrato d'argemto
- ho lasciato asciugare per qualche minuto, poi ho completato l'asciugatura col phon.
La carta era fissata con le clip sul compensato quando era ancora asciutta. Si è un po' corrugata durante i bagni, ma è tornata a posto una volta asciugata.
Il tempo di esposizione è stato di due ore.


Ho voluto provare a fare qualche passo ancora più indietro nel tempo. Ho eseguito un "disegno fotogenico", rieseguendo le primissime esperienze di Talbot, ma non solo. Agli inizi Talbot provò ad ottenere delle immagini senza ancora utilizzare la camera oscura. Nulla di originale, ripeteva anche lui esperienze di chi lo aveva preceduto:
Schultze, scoperta la sensibilità alla luce del nitrato d'argento, incollava dei cartoncini nei quali aveva ritagliato delle lettere su delle bottiglie riempite con gesso, acido nitrico ed argento, le esponeva alla luce quindi, togliendo il cartoncino, ne ritrovava impressa nel gesso la forma. Coloro ai quali le mostrava credevano ad un trucco.
Thomas Wedgwood utilizzava sempre il nitrato d'argento, col quale imbeveva della carta o del cuoio, per imprimervi le impronte degli oggetti che vi poneva a contatto e chiamava queste immagini "immagini solari" o "profiles". Non riuscì, a causa della bassa sensibilità del nitrato d'argento, a fissare le immagini della camera oscura.
Ci riuscì invece Niepce, utilizzando però il cloruro d'argento, che all'epoca veniva chiamato muriato d'argento.
Ho trovato una traduzione di una comunicazione di Talbot, inventore del processo negativo-positivo, riguardante i suoi esperimenti che oggi chiameremmo "fotogrammi":
"Nel processo fotogenico o sciagrafico - dal greco skia: ombra - se la carta è trasparente, il primo disegno può servire come oggetto, per produrre un secondo disegno, nel quale la luce e le ombre appaiono rovesciate".

Una riflessione: con l'avvento e la diffusione del digitale, i nostri nipoti sapranno che cosa significa "negativo?"

Ma ecco la mia prima sciadografia o disegno fotogenico (da carta sensibilizzata al cloruro d'argento)


Qualche informazione sull'obiettivo, il primo elemento che ho costruito ed in base al quale ho disegnato il resto della macchina:
L’obiettivo è formato da due lenti da occhiali (menisco convergente) da 3 diottrie ciascuna. In totale fanno 6 diottrie. La lunghezza focale di tale sistema è di 16,7 cm.
Infatti la diottria è l’inverso della lunghezza focale: D = 1 / F ed F = 1 / D;
1 / 6 fa 0,166666 metri, pari a 16,7 centimetri. Se avessi utilizzato solo una lente da 3 diottrie, la lunghezza focale dell’obiettivo sarebbe stata di 33,3 cm. Avrei dovuto allontanare del doppio la lente dal piano di messa a fuoco e, poiché il diametro della stessa era sempre di 6 cm utili, avrei avuto meno luminosità ed una macchina più ingombrante.

Il formato della carta è di circa 13 x 14 cm.
La diagonale è quindi di 19 cm.
L’angolo di campo è di 60° [2 arctan (19/2) / 16,7 ].
Poiché la diagonale del formato 35 mm è di 4,3 cm, la mia macchina per calotipi ha una focale 35 mm equivalente pari ad un 38 mm.
Accipicchia, è un grandangolo!

A causa dei due anelli (anteriore e posteriore) fissati all’interno del barilotto di cartone per bloccare le due lenti, il diametro effettivo si è ridotto a 60 mm
Ne consegue che, a tutta apertura (senza dischi di cartoncino) il valore è esattamente f/2,8 (6 cm / 16,7 cm)
Per ottenere un’apertura f/4 occorre un disco di cartoncino con un foro del diametro di 41,7 mm
Per un’f/5,6 occorre un foro di 30,0mm
Per un f/8 occorre un foro di 20,8 mm
Non conviene usare diaframmi più chiusi perché il tempo di esposizione diverrebbe eccessivo.

Correggo, non (6 cm / 16,7 cm) ma (16,7 cm / 6 cm).