Uno degli obiettivi Nikkor più intriganti ed al contempo poco noti dell'intera produzione Nippon Kogaku: l'AF-Nikkor 80mm f/4,5 presentato nel 1971, e l'anno di riferimento non è un refuso...

NIKON AF-NIKKOR 80mm f/4,5 DEL 1971: RIVELAZIONI, DATI, SCHEMI OTTICI E MECCANICI INEDITI RELATIVI AD UNA PIETRA MILIARE DELLA TECNICA FOTOGRAFICA

L'AF-Nikkor 80mm f/4,5 del 1971 è uno degli obiettivi più insoliti, affascinanti e meno conosciuti dell'intera produzione Nippon Kogaku, un'azienda che ha realizzato sistemi ottici per i più svariati impieghi industriali e tecnici, alcuni dei quali completamente ignoti al grande pubblico di appassionati.

Molti si saranno chiesti ragione delle bizzarre caratteristiche geometriche sfoderate da questo pioniere, esternando dubbi e meraviglia sia per l'insolita lunghezza focale - 80mm - che non trova spiegazione apparente, essendo un po' ne carne ne pesce, sia per la luminosità di appena f/4,5, davvero ridotta: considerando che persino i sensori di contrasto attuali faticano a leggere oltre f/5,6, molti si sono domandati come potesse un obiettivo basato sull'arcaica tecnologia elettronica del 1971 a focheggiare prontamente e correttamente con simili aperture; finora non era stato possibile imbastire risposte convincenti, ma l'analisi del suo ingegnoso schema ottico ha rapidamente risolto ogni arcano, facendo quadrare i conti!

Immagine: Nippon Kogaku K. K.L'AF-Nikkor 80mm f/4,5 fu prodotto in serie limitatissima, su richiesta, per accontentare esigenze molto particolari nei settori scientifici ed industriali; siccome incorporava tutta la tecnologia necessaria, dalle batterie al motore, da sensore di contrasto all'elettronica di servizio, esso funzionava come un'unità a se stante e si poteva applicare su qualsiasi corpo macchina servito da baionetta Nikon F: paradossalmente potrebbe funzionale alla perfezione anche sull'ultima Nikon digitale appena commercializzata! L'obiettivo sfrutta un'elettronica primitiva e meccanica "bruta", quindi le dimensioni sono davvero importanti, dal momento che il solo schema ottico ingombra per circa 15cm, ed il peso si assestava sui 2,7kg, un valore insolito ma occorre considerare che l'obiettivo era indirizzato a nicchie specializzate, e non certo previsto per la foto dinamica, a mano libera, come nel caso dei suoi attuali epigoni.

Una minuscola immagine d'epoca, interpolata e ripulita alla meglio, ci fornisce l'immediata percezione dei suoi ingombri, connotandolo subito come uno strumento di nicchia, molto specializzato; come sostenere il contrario, visto che siamo nel 1971? L'obiettivo misura 289mm x 90mm x 145mm, copre un angolo di campo di 30°02', focheggia da infinito ad 1m, pesa 2,7kg ed il suo diaframma apre da f/4,5 ad f/32.
Immagine: Nippon Kogaku K. K.

Immagine: Nippon Kogaku K. K

L'immagine "ufficiale" Nikon - ripresa dal lato destro - ci rivela scritte e pomello di comando identici e simmetrici a quelli presenti sul fianco opposto; il pomello destro, nel modello standard definito "A", regola manualmente l'apertura del diaframma.
Immagine: Nippon Kogaku K. K

L'obiettivo ostenta un voluminoso cannotto rivestito in vulkan con una parte inferiore scatolata che funge anche da stabile supporto; lo chassis presenta su entrambi i lati una piastra serigrafata con le seguenti scritte a contrasto: Nikon AF NIKKOR 1:4,5 f = 80mm - numero di matricola - Made in Japan; trattandosi di una realizzazione specialissima e prodotta praticamente su ordinazione individuale, pare che la posizione e la funzionalità dei pomelli esterni di comando sia stata oggetto di alcune variabili, riconducibili a quanto segue: di norma su entrambi i lati dell'obiettivo è presente un pomello che permette le regolazioni manuali: quello di sinistra agisce sul gruppo ottico di messa a fuoco, permettendo di focheggiare nel modo consueto, sfruttando il vetro smerigliato della fotocamera, mentre l'altro consente di impostare manualmente l'apertura del diaframma tramite un cervellotico sistema di camme e rinvii; a questo schema di base pare - ed il condizionale è d'obbligo - che siano state affiancate due varianti: un modello dotato di manettino per la messa a fuoco spostato a destra, accanto a quello che gestisce il diaframma, ed uno dotato di tre pomelli: uno a sinistra per la messa a fuoco (come nel tipo "standard") e due sul fianco opposto, uno dei quali destinato a settare il tempo di posa e la sensibilità del film ad appannaggio di un sistema EE per il controllo automatico del diaframma a priorità di tempi, variandolo senza soluzione di continuità ogni volta che cambia la luminosità del soggetto inquadrato: in questo modo l'apparecchio dotato di AF-Nikkor 80mm - debitamente comandato a distanza con controlli remoti od intervallometri - agiva in completo automatismo sia relativamente alla messa a fuoco che alla regolazione dell'esposizione!

Definiremo i tre tipi come A, B e C, anche se le rare immagini illustrano sempre un AF-Nikkor 80mm f/4,5 in configurazione A, con un manettino per ogni lato e comando manuale del diaframma; anche nello schema riferito al tipo "B" (due manettini, entrambi sul lato destro), si cita in modo non meglio precisato un modulo per il controllo automatico del diaframma, ma segnalo la cosa con beneficio di inventario perchè è assente il doppio comando (selezione manuale delle aperture ed impostazione dei tempi di posa/valori ISO), il che escluderebbe in modo assoluto la possibilità di un controllo manuale dell'iride.
La misurazione esposimetrica a beneficio del modulo per il controllo automatico del diaframma veniva effettuata dallo stesso sensore autofocus TTL, che misurava una "corrente di base" e la forniva al modulo EE per la relativa elaborazione.

Sono lieto di implementare la conoscenza di questo affascinante obiettivo - finora limitata all'analisi speculativa di queste poche immagini e di uno schema meccanico semplificato - basandomi sui disegni originali di Soichi Nakamura, un progettista della Nippon Kogaku molto attivo a fine anni '60 - inizio anni '70, specializzato in obiettivi zoom; il riferimento alle focali variabili non è casuale, dal momento che l'obiettivo si basa a tutti gli effetti sullo schema ottico del celebre zoom-Nikkor Auto 80-200mm f/4,5 prima serie a 15 lenti, regolato alla focale minima e fatto oggetto di piccole modifiche ottiche, necessarie e funzionali all'applicazione del complesso modulo AF; Soichi Nakamura aveva progettato questo zoom nel 1969, e fin da subito l'ottica aveva incontrato un travolgente successo sia per la compattezza e la portabilità, sia in virtù di una resa ottica effettivamente molto valida, che gli consentiva di rivaleggiare senza timori con le focali fisse dell'epoca; nel frattempo dalla Nippon Kogaku gli fu affidata la "patata bollente" relativa alla concezione di un obiettivo autofocus; naturalmente esistevano già dei primitivi sensori di massimo contrasto, ma da questo ad applicarli in modo funzionale ad un obiettivo di produzione ci correva un mare di difficoltà; Nakamura considerò attentamente due caratteristiche del suo nuovo zoom 80-200: l'ampio diametro del modulo anteriore (la cui proiezione, alla focale minima di 80mm, era sfruttata dal resto del sistema ottico solo parzialmente ed assialmente) e l'abbondante spazio disponibile fra il secondo gruppo di lenti (adibito alla zoomata) ed il terzo (un doppietto destinato alla messa a fuoco); Nakamura-San ipotizzò l'applicazione di uno specchio circolare dotato di un foro, posizionandolo nello spazio fra il secondo ed il terzo gruppo di lenti dello zoom-Nikkor 80-200mm f/4,5 a focale minima, con una inclinazione di circa 45° verso il basso; dal momento che il fascio necessario a creare l'immagine alla focale minima utilizza solo la porzione centrale della proiezione consentita dalle lenti frontali, essa passa attraverso il foro dello specchio, raggiunge le lenti posteriori e focalizza il soggetto sulla pellicola; la porzione esterna delle tre lenti anteriori di grande diametro, non sfruttata ad 80mm per creare l'immagine, invia i suoi
fasci sul settore anulare esterno dello specchio, che li proietta in basso dove vengono intercettati da un gruppo ottico secondario costituito da quattro lenti, destinato a focalizzarli su una cellula fotoelettrica adibita alla valutazione della messa a fuoco; da questa descrizione preliminare è dunque svelato il mistero dei famosi ed apparentemente inspiegabili 80mm f/4,5...


Marco Cavina 2009


Lo schema presentato, finora assolutamente inedito, ci svela i segreti del complesso sistema ottico che caratterizza l'AF-Nikkor 80mm f/4,5 del 1971: la base di partenza fu il recente (lanciato nel 1969) ma già famoso zoom-Nikkor Auto 80-200mm f/4,5, utilizzato alla focale minima di 80mm: in questo modo il gruppo ottico di transfocazione (il primo nucleo di lenti subito dietro ai tre elementi anteriori di ampio diametro) era completamente avanzato, lasciando spazio sufficiente per collocare uno specchio a 45° (in colore verde); i "light pencils" necessari alla formazione dell'immagine (evidenziati in giallo), alla focale di 80mm presentano un diametro ridotto, sfruttando solo parzialmente la copertura dei grandi elementi anteriori, e riescono a passare senza intralcio dal foro circolare ricavato nello specchio (in colore arancio); la proiezione supplementare periferica delle grosse lenti anteriori (necessaria in origine per formare l'immagine alla focale massima di 200mm), colorata in rosso, viene intercettata dallo specchio e proiettata sul gruppo ottico supplementare del telemetro elettronico (sempre in colore rosso), che focheggia il fascio su un sensore fotoelettrico.

Questa base fu scelta sia per le ragioni appena descritte, che consentivano una certa economia in scala, "riciclando" un obiettivo di produzione ed abbattendo i costi per un prodotto destinato a piccoli numeri, ma anche perchè, in effetti, lo zoom-Nikkor 80-200mm esibiva alla focale minima prestazioni ottiche decisamente buone, certamente sufficienti all'impiego previsto; Tuttavia, nonostante l'alto grado di "compatibilita di base", Soichi Nakamura dovette modificare leggermente la sua creatura per adattarla perfettamente alle nuove esigenze; le modifiche si possono riassumere i tre steps:

A) aumentare il diametro del gruppo anteriore per consentire lo sdoppiamento del fascio senza interferenze;

B) avanzare il secondo gruppo adibito alla transfocazione fino ad appoggiarlo al gruppo anteriore, evitando così interferenze con la proiezione proveniente dalla parte superiore dello specchio;

C) delegare la messa a fuoco non più al doppietto anteposto al diaframma ma all'intero gruppo posto dietro di esso.

Per avanzare il gruppo secondario di transfocazione, Nakamura modificò leggermente il raggio di curvatura della prima lente ed il profilo collato del successivo doppietto, senza stravolgere minimamente le ottime caratteristiche ottiche di base; l'obiettivo originale prevedeva il controllo della messa a fuoco tramite lo spostamento del piccolo doppietto posto davanti al diaframma, tuttavia nel nuovo progetto esso si trovava così vicino allo specchio da non consentire l'applicazione dei voluminosi controlli elettro-meccanici necessari all'autofocus, e si trovò la soluzione rendendo mobile tutto il gruppo di lenti (sette in totale) posto alle spalle del diaframma stesso; per agevolare la comprensione ho realizzato una schermata che mette in relazione lo schema originale con quello modificato per l'autofocus.


Marco Cavina 2009


Le tre lievi modifiche messe in atto da Nakamura per adottare lo zoom-Nikkor Auto 80-200mm f/4,5 all'autofocus: aumentare il diametro degli elementi anteriori (triangolo giallo), avanzare fino in battuta il gruppo di transfocazione (punto arancio) e spostare la messa a fuoco dal doppietto davanti al diaframma al modulo di lenti alle sue spalle (pulsante verde); per avanzare il modulo di transfocazione (notare come la proiezione superiore dello specchio vada a sfiorare l'ultima lente...) fu necessario ricalcolare e modificare leggermente i raggi di curvatura dei tre elementi anteriori, modifica forse richiesta anche dal vistoso aumento del diametro; a tale riguardo, non ci sono dati precisi, ma osservando la foto si può ipotizzare un passaggio dall'attacco filtri originale da 52mm ad un passo da 72mm, servito da un paraluce della serie HN derivato dalla serie e nato per un preesistente obiettivo Nikkor.

Dal punto di vista ottico, dunque, si tratta in pratica di due obiettivi in uno, ciascuno dei quali condivide con l'altro l'utilizzo comune delle prime tre lenti: quello da ripresa utilizza la proiezione centrale e quello adibito al telemetro sfrutta quella più periferica, intercettata dallo specchio; tornando alle perplessità sul funzionamento del sistema AF, va detto che mentre l'obiettivo da ripresa è il già descritto 80mm f/4,5, il gruppo ottico telemetrico compone un obiettivo secondario pari a 50mm di focale e luminosità f/0,8 (SIC; zerovirgolaotto), che proietta sul sensore di messa a fuoco un fascio ben più brillante e luminoso di quello destinato al film, aggirando i limiti propri dell'apertura f/4,5!


 Marco Cavina 2009


Un altro schema inedito che rivela la scelta di vetri ottici adottata nel progetto; i due obiettivi condividono le prime tre lenti dello schema, utilizzandone zone differenti della proiezione, e la luminosità del complesso secondario è pari a ben f/0,8, valore notevole e probabilmente necessaria per la primitiva fotocellula dell'AF.
Nello schema non mancano vetri moderni come LaK9 (L5 del relay lens), LaF35 (L6 del relay lens), LaSF44 (L7 del relay lens) ed LaF2 (L13 del modulo fotografico), senza contare un BaSF ad alta rifrazione/bassa dispersione (L15) ed un paio di Short-Flint ad alta rifrazione ed alta dispersione (SF4 ed SF6) in posizione L3 ed L11; sono invece assenti vetri ai fluoruri a bassa rifrazione/bassa dispersione.


Marco Cavina 2009


Lo stato di correzione dell'obiettivo principale 80mm f/4,5 e di quello secondario 50mm f/0,8 per il telemetro elettronico; l'obiettivo da ripresa è ben corretto per le esigenze generiche e non avrà scontentato i rari utenti. Notate come l'unica aberrazione considerata dal progettista per il relay lens autofocus sia la sferica, probabilmente molto importante ai fini dell'interfaccia con la fotocellula.

Dal punto di vista meccanico, l'obiettivo si basa ovviamente su una tecnologia abbastanza primitiva, nulla a che vedere con le raffinatezze micro-elettroniche attuali; la struttura si articola su bielle, pullegge, motori e rinvii dalla struttura piuttosto complessa ed ingenua, ma naturalmente va letta e contestualizzata nel periodo di gestazione! Per chiarire il funzionamento ho riesumato uno schema disegnato personalmente da Maurizio Capobussi negli anni '80 (al quale sono ovviamente riconoscente), rielaborando la grafica per le specifiche esigenze.


Marco Cavina 2009Lo schema meccanico dell'AF-Nikkor 80mm f/4,5 - inutilmente complicato ed ingenuo ad un tempo - va visto con indulgenza ed apprezzato in quanto importante tassello nell'evoluzione di queste tecnologie, oggi così diffuse; il gruppo ottico anteriore 1 (di diametro ridondante) riflette la sua proiezione periferica sullo specchio a 45° forato 2; il fascio luminoso è intercettato dal gruppo ottico supplementare 3 ed inviato sull'apposita cellula fotoelettrica 4 presente nel modulo elettronico 5; il motore elettrico 6 - tramite una cinghia e le pullegge 9 - trasmette la forza motrice al dispositivo 10, che consente lo spostamento del modulo 5 verso l'alto ed il basso; quando si richiede la messa a fuoco, la fotocellula 4 viene messa in continuo movimento sul percorso verticale - ciclico - che corrisponde alla corsa disponibile, ed effettua una lettura di corrente "di base" che viene utilizzata dal modulo del diaframma automatico 12 per l'esposizione; nel frattempo, la fotocellula 4 passa di continuo al di qua e al di là del piano di massima messa a fuoco, caratterizzato da un picco di corrente (la luce è concentrata a fuoco dal modulo di lenti 3 ed ha intensità massima) e crea in questo modo un flusso di corrente alternata, fluttuante, in aggiunta al segnale di base; il modulo elettronico 5 (analogamente all'aggiustamento "a forcella" in uso nell'artiglieria) misura i tempi che intercorrono fra due passaggi a massima intensità (corrispondenti alla massima messa a fuoco), mentre il gruppo di lenti 8 viene spostano dalla camma 7 lungo la guida 11, riducendo via via la corsa delle fasi di inversione finchè il tempo fra l'inversione e la percezione di massima messa a fuoco coincidono; a questo punto il motore si ferma perchè il modulo di lenti è correttamente a fuoco; come accennato, i valori fotometrici di base letti dalla fotocellula 4 vengono elaborati dal modulo esposimetrico 12 che, tramite la camma 14, aziona il diaframma 15; tramite il pomello 13 è possibile impostare i valori selezionati sul corpo macchina; il flusso non intercettato dallo specchio attraversa regolarmente tutto lo schema ottico e va a formare l'immagine sul piano focale 16; ovviamente ala perfetta messa a fuoco sul film garantita da un'opportuna posizione del gruppo di lenti 8 deve corrispondere (con esattissima calibratura) una perfetta focalizzazione del fascio luminoso secondario sulla fotocellula 4 da parte del modulo ottico 3, anche se minime tolleranze venivano assorbite dalla profondità di campo disponibile ad f/4,5... Questo schema si riferisce al modello definito "B".

 

schema base: Maurizio Capobussi

schema base: Maurizio Capobissi


In questo schema alternativo, è evidente l'opzione del doppio pomello sul lato destro, per comandare il diaframma in modo totalmente manuale, e si può notare anche il pomello sinistro in presa sull'alberino motorizzato che agisce sulla messa a fuoco tramite una camma eccentrica; dalle caratteristiche possiamo dedurre un funzionamento del diaframma (automatico o manuale che sia) col metodo stop-down a chiusura diretta effettiva, un vero controsenso - col senno attuale - in abbinamento ad un sistema autofocus, anche se - come accennato - il sistema era previsto per un impiego con la macchina in postazione, in assenza di operatore, e la chiusura stop-down non creava alcuna controindicazione; questo schema corrisponde al modello "C".



Questo schema con didascalie in lingua giapponese descrive invece il tipo standard, denominato come modello "A"; potete notare che è presente una manopola per ogni lato: quella a sinistra regola manualmente la messa a fuoco e quella a destra comanda il diaframma; sottolineo che in questo schema non è presente alcun dispositivo per il controllo automatico dell'esposizione a priorità di tempo (il comando del diaframma è unicamente manuale).



Uno schema molto semplificato del funzionamento di questo dispositivo che mette in bella evidenza la batteria; considerando che un motore teneva in costante movimento ciclico il modulo AF ed il massiccio gruppo di lenti posteriore, senza considerare l'eventuale assorbimento del servo EE sul diaframma, la richiesta energetica doveva essere abbastanza rilevante.

Marco Cavina 2009
Il Progetto di Takeo Yamada sintetizza già nel 1965 la struttura che avrebbe caratterizzato l'obiettivo definitivo del 1971.


Il modulo autofocus dell'AF-Nikkor 80mm f/4,5, con parametri attuali, può far sorridere, ma è certo che a quei tempi un'impiantistica come questa non si improvvisava in pochi giorni; ricerche sistematiche hanno portato alla mia attenzione un progetto globale di Takeo Yamada, ingegnere elettronico della Nippon Kogaku, risalente al Luglio 1965; questo progetto descrive tecnologie di base per realizzare un modulo autofocus concettualmente molto simile a quello poi adottato sull'obiettivo del 1971, anche se con modifiche funzionali;
Il colpo di genio consistette nel sostituire lo specchio intero semi-trasparente (che avrebbe ridotto ulteriormente la luminosità effettiva sulla pellicola) con uno specchio forato, sfruttando le caratteristiche del sistema ottico prescelto; ecco in anteprima gli schemi ricavati dal progetto di Yamada-San.

Una delle applicazioni più incredibili e cervellotiche di questo AF-Nikkor prevedeva l'utilizzo su un corpo macchina realizzato ad inizio anni '70 e destinato alla fotografia da postazione fissa, senza operatore, mantenendo comunque la visione a distanza dell'inquadratura del mirino grazie ad uno dei più complessi e fantasmagorici dispositivi opto-elettronici che l'intelletto umano abbia concepito in quella fase adolescenziale delle relative tecnologie; il sistema era denominato Nikon video remote control e non è mai stato distribuito sui nostri mercati.

Il Nikon video remote control utilizzava un corpo Nikon F talmente modificato da fare invidia a certe fantasiose "interpretazioni" NASA sul tema Nikon F3: il corpo era dotato di un AF-Nikkor 80mm f/4,5 (modificato rispetto al modello standard) e di un complicato rinvio ottico che prelevava l'immagine dal mirino dell'apparecchio e la indirizzava ad una videocamera che trasmetteva l'inquadratura su un monitor a circuito chiuso, permettendo all'operatore di scegliere dalla postazione remota il momento più adatto per lo scatto; l'intero sistema era montato su una base motorizzata giroscopica (simile a quella utilizzata per certe armi moderne), che consentiva di modificare a piacimento l'inclinazione e l'orientamento dell'apparecchio stesso, il tutto condito da centraline, alimentatori e dovizia di cavi in grado di spaventare chiunque...



Scendendo in dettaglio, l'obiettivo autofocus era naturalmente dotato di diaframma automatico, ma in questo caso la misurazione esposimetrica non aveva origine dal flusso luminoso proiettato sull'elemento fotoelettrico dall'obiettivo relay secondario: alla lettura provvedeva un modulo esterno ausiliario, di forma cilindrica, posizionato sull'obiettivo stesso e ad esso interfacciato tramite la cavetteria visibile in primo piano.

L'immagine focalizzata nel mirino veniva acquisita tramite un mirino specialissimo, dotato di specchi a 45° e di un periscopio verticale che scendeva lungo il dorso dell'apparecchio Nikon F; dopo tre riflessioni l'immagine veniva focalizzata a coniugata finita da un relay lens EL-Nikkor, alla stessa stregua del dispositivo Polaroid Nikon Speed-Magny, ed infine acquisita da una videocamera che provvedeva ad inviarla sul monitor di sorveglianza a circuito chiuso; l'operatore poteva orientare l'apparecchio tramite la base motorizzata giroscopica (qui non illustrata), visionare l'inquadratura TTL e scattare con trigger a distanza; l'avanzamento del film era motorizzato e l'autonomia arrivava a ben 250 fotogrammi grazie all'adozione di uno speciale dorso F250 modificato che poteva accogliere pellicola 35mm in bobine a metraggio.
E' un ordigno ingombrante e di complessità mostruosa che probabilmente costava un capitale, ma anche un magnifico esempio di quanto fosse vasta e capillare la copertura garantita dai sistemi fotografici della Nippon Kogaku, un plusvalore costante in tutta la sua storia che rappresenta una delle ragioni fondamentali del suo costante successo commerciale.
Uno schema sintetico che conferma la presenza di una base giroscopica motorizzata e sottolinea la grande complessità della catena di alimentazione a 100 Volts; nello schema risulta più chiaro il percorso dell'immagine dal vetro di messa a fuoco fino alla videocamera, attraverso il pazzesco mirino-periscopio.
Sono contento di aver svelato gli intriganti segreti celati da questo lontano progenitore dei nostri moderni obiettivi, che da un lato ci lascia capire quanto sia progredita la tecnologia in pochi decenni, e dall'altro ci spinge ad un moto di commozione e tenerezza per il "vecchio zio" , goffo ed impacciato ma anche pietra miliare nello sviluppo delle moderne tecnologie applicate al campo fotografico, delle quali beneficiamo tutti, indistintamente.