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A che punto è la fotografia?

La produzione libraria di Contrasto continua a offrire spunti per approfondire la conoscenza di un linguaggio cruciale come quello fotografico. Due suoi recenti volumi aiutano a comprendere maggiormente quello che avviene in Italia. Da una parte La fotografia in Italia. A che punto siamo? (248 pp., 107 fotografie + DVD, 21,90 euro), che raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Milano, organizzato e ospitato dalla Fondazione Forma per la Fotografia, che ha visto confrontarsi per tre giorni alcuni tra i principali protagonisti del settore in una sorta di stati generali sulla fotografia.

«Nei tre giorni di incontri, si è parlato di fotografia a vari livelli» - racconta Roberto Koch, presidente della Fondazione Forma, nell'introduzione al volume - « dal mercato editoriale a quello dell'arte, dalle istituzioni che dovrebbero promuoverla e favorirla alla indispensabile formazione scolastica e specialistica, dai festival che nel nostro paese danno conto dei passi avanti e degli sviluppi del linguaggio fotografico al collezionismo, senza trascurare una sessione dedicata alla comunicazione nei giornali, con il confronto tra direttori di giornali e photoeditor. Un'ultima, necessaria sessione di lavoro ha visto poi i protagonisti, i fotografi stessi, prendere la parola e discutere della propria visione e del proprio ruolo». «Per chi è fotografo, non può esserci nient'altro che l'urgenza», scrive Koch, «diceva Rilke che quando un artista ha trovato il luogo dove posizionarsi, non può rinunciarvi per nessun motivo al mondo, non può andare né dalla parte dello spettatore né da quella del critico, perché ha trovato la sua collocazione che corrisponde alla sua realizzazione. Ecco forse un elemento di sintesi: morta o viva, la fotografia rimane vivace, si agita scompostamente per cercare di risollevarsi da un letto. Ci sono molte persone interessate alle sue sorti, coinvolte e attive nel permettere che la fotografia italiana possa avere altri spazi e altre occasioni di visibilità».
 

 

Dal punto sull'attualità alla ricostruzione e interpretazione di un percorso. Maria Antonella Pelizzari, storica della fotografia e professore associato al Dipartimento di Arte dell'Hunter College di New York, ripercorre in Percorsi della fotografia in Italia (216 pp., 126 fotografie, 21,90 euro) lo sviluppo e la crescita della fotografia in Italia, la storia del mezzo fotografico e della sua pratica nel nostro paese, i principali movimenti, gli autori, le influenze straniere, le istanze estetiche, il contesto internazionale, la scena culturale e politica. Al momento della nascita della fotografia, nel 1839, l'Italia non era che un mosaico di stati, ancora lontani da poter convivere uniti sotto un'unica bandiera. Più tardi, il territorio, la sua incontestabile bellezza, le perle rinascimentali e archeologiche che l'adornano, diventeranno il primo principale soggetto per fotografi professionisti e amatori che rinnoveranno, ora con l'aiuto di un apparecchio fotografico, il classico Grand Tour nel nostro paese. Oggi, nella molteplicità degli stili, i fotografi documentano il nostro territorio variegato e problematico, propongono nuove testimonianze e nuove creazioni visive. La tesi di fondo della Pelizzari è che «la fotografia in Italia non è il prodotto della patinata industria del turismo, ma il frutto della ricca cultura visiva del paese».


Riportiamo, di seguito, alcune parti dell'introduzione della Pelizzari: «Questa è una storia scritta a distanza, dall'osservatorio nordamericano dove vivo e lavoro da ormai vent'anni. Lo scopo di questo racconto, originariamente in inglese, è stato quello di spiegare a studenti e colleghi il significato e l'importanza di una tradizione fotografica raramente discussa nei libri di testo e nei cataloghi di mostre che conosciamo da questa parte dell'oceano. Non mi addentro sulle ragioni di questa lacuna, ma è un fatto che nelle storie canoniche di fotografia l'Italia emerge brevemente per rapporto al Grand Tour, alle riproduzioni artistiche dei Fratelli Alinari e, nei casi più fortunati, per una menzione al fotodinamismo di Bragaglia, ai pretini di Giacomelli e agli indimenticabili paparazzi. Nel complesso, l'immagine fotografica che ne risulta è pittoresca ed esotica, inserita in una tradizione artistica che fatica a definirsi moderna e che predilige l'aneddoto. Sono partita dalle origini e arrivata al presente con la precisa intenzione di dissipare questi tropi scontati e offrire delle linee critiche di lettura per una tradizione fotografica in dialogo con un contesto storico e geografico denso e articolato.



Gioacchino Altobelli e Pompeo Molins, Il ponte Tevere, Roma, visitato da Papa Pio IX il 222 ottobre 1863 (tavola non numerata, in Ragguaglio delle cose private dal Ministero del Commercio, belle arti, industria, agricoltura e lavori pubblici dall’anno 1859 al 1864, Governo Pontificio, Roma, 1864).

Tradotta in italiano, questa storia rappresenta un distillato del mio modo di vedere e pensare la fotografia, e un'inchiesta, anche visiva, dell'italianità di queste immagini. Ho sottolineato nel corso del libro come, paradossalmente, l'aspetto più "italiano" di questa storia sia il suo carattere policentrico e parzialmente straniero. La configurazione geografica dell'Italia, e la sua frammentazione in una quantità di staterelli dalla fine dell'era antica in poi, ne hanno fortemente condizionato la tradizione artistica, coinvolgendo i fotografi in questo particolarismo. In questo senso, mi è sembrato che il paradigma presentato da Carlo Ginzburg ed Enrico Castelnuovo per una storia dell'arte in Italia, dove il contesto periferico prevale su quello dei centri, sia applicabile, in modo altrettanto programmatico, alla storia della fotografia.


© Gianni Berengo Gardin
Gianni Berengo Gardin, Vaporetto, Venezia, 1960
© Gianni Berengo Gardin

Nel XIX secolo molte città piccole e grandi sono state inizialmente immaginate e definite da viaggiatori, ed è per questo che nella prima parte del libro sono stati inseriti fotografi inglesi, francesi e tedeschi. L'Italia, divenuta nazione nel 1860, considera la fotografia come un veicolo prezioso di modernità e di unificazione politica, ma al tempo stesso si ripiega sul suo passato, affidando al nuovo strumento meccanico l'archivio della memoria, del patrimonio storico, e persino una traccia di nostalgia verso tradizioni arcaiche che vanno scomparendo. Le influenze d'oltralpe nella richiesta e produzione di queste immagini vanno gradualmente scemando verso la fine del XIX secolo, quando l'Italia diventa sempre più consapevole del ruolo della fotografia nella definizione della vita, dell'arte e dell'economia moderne. Fin dall'inizio del XX secolo si percepiscono i segni di un'autonomia fotografica, se pur internazionalista […] Da questi anni al dopoguerra, l'ansia di creare un linguaggio autonomo andò crescendo […] Durante la ricostruzione del dopoguerra il paese continuò a produrre attività regionali, circoli fotografici e manifesti. A nord, a sud, a est e a ovest dominava il policentrismo, con autori impegnati a interpretare il volto di particolari regioni – le Marche, il Friuli, il delta del Po, e un caotico ed esotico nucleo geografico definito complessivamente "il Sud".


© Paolo Ventura
Paolo Ventura, Il fotografo, dalla serie Winter Stories n. 37, 2007
© Paolo Ventura e courtesy Hasted Hunt Kraeutler, New York

Superato questo periodo di ridefinizione geo-politica, i fotografi unirono alle esplorazioni di questo paese una crescente esplorazione dei loro linguaggi visivi. Viaggio in Italia (1984) di Luigi Ghirri – libro e mostra di venti fotografi che ridefinivano l'immagine del paesaggio italiano – fu un'accorta dichiarazione della necessità di superare le immagini tradizionali e stereotipate del Grand Tour. Il libro suggeriva un nuovo tipo di dizionario fotografico, rivolto al paesaggio locale e quotidiano. Il progetto di Ghirri divenne uno dei rari momenti in cui i fotografi lavorarono insieme verso un obiettivo comune, condividendo un'esperienza dei luoghi a livello nazionale. Questa lezione ha continuato a influenzare opere più recenti, quando la diversità delle regioni italiane è stata ulteriormente complicata da nuove ondate di immigrazione, accompagnate da forme di razzismo esplicito e dall'incapacità del governo attuale di riconoscere il crescente multiculturalismo. I fotografi di oggi cercano indizi per comprendere un mondo sempre più complesso. Inoltre attingono alla tecnologia digitale e all'arte dell'installazione per ristrutturare ricordi e percezioni […] Questo libro va inteso come un percorso critico attraverso una tradizione fotografica ricca e sfaccettata, dovuta anche e soprattutto al suo particolarismo. La selezione delle immagini, tracce del mio racconto, vuole mostrare il noto ma anche e soprattutto l'inedito, suggerendo contraddizioni e deviazioni da un percorso lineare e omogeneo […] questa tensione a riscoprire un'Italia insolita in fotografia continua a riproporsi fino a oggi, nel continuo confronto con il periferico, il marginale, l'ordinario».

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