di Gerardo Bonomo

 

Seconda Parte
Beppe Bolchi ha lavorato con un’attrezzatura Nikon composta dalla D200 con il 18/70 e il 70/300, e il 55 Micro Nikkor AI, insieme al mitico 500 catadiottrico. Ha utilizzato anche una Horizon 135 con pellicola negativa Agfa e foro stenopeico con pellicola Polaroid 665 (anche questa pellicola è in via di estinzione) positivo negativo 8x10,5 cm di cui Bolchi usa il negativo facendo la scansione e la stampa al carbone su carta acquarello.


A sinistra una videata del software Garmin e a destra una videata di Picture projetc in cui sono evidenziati
negli exif latitudine e longitudine. I dati presenti negli Exif della d200 possono essere inseriti nella mappa
del Garmin sul PC per ritrovare l’esatto punto in cui è stata scattata la foto.

Ci racconta Bolchi: “Dei personaggi interessanti che ho incontrato ho fatto il ritratto su Polaroid e poi, con il distacco dell’emulsione li ho messi in bottiglia, come ho già fatto con centinaia di persone, ma in questo caso in pura acqua del Po”.


La copertina del volume di Beppe Bolchi
Il Po, viaggio con il Grande Fiume, Edizioni Diabasis

Ecco risolta la diatriba analogico/digitale: usare gli strumenti e i medium adatti a ciascuna situazione, diversificati tra loro ma ciascuno con un suo preciso e unico modo di fermare la realtà.

Il lavoro l’ha iniziato a studiare e a pianificare a dicembre 2005, i primi scatti li ha fatti a fine gennaio e il lavoro di shooting si è concluso a giugno 2006.


Dal manuale di istruzioni della Nikon D200
lo standard GPS e la procedura di collegamento.

Continua Bolchi: “Le cose belle sono la scoperta di paesaggi assolutamente fuori dal comune, e la cosa principale che mi ha sorpreso è stato il viaggiare in auto sugli argini: vedi la pianura da un punto di vista privilegiato, con una visione eccezionale della paesaggio e in molti casi vai letteralmente alla scoperta anche perché gli argini per la maggior parte non sono vere e proprie strade e per cui non sono segnalate nelle cartine”.
Incontrare e conoscere persone, vedere la gente sul fiume, la pacatezza e la disponibilità di chi vive e lavora lungo e sul fiume.

Chiediamo a Bolchi di parlarci di una delle cose che l’ha più colpito.
“Indubbiamente i pesci al guinzaglio: ci sono dei pescatori soprattutto ungheresi e tedeschi che fanno la loro campagna di pesca, e magari durante i primi giorni catturano un qualche degno esemplare di “siluro” che sono i pesci tipici del Po, e sono lunghi in alcuni casi oltre due metri,e una volta catturati anziché tirarli in secco li legano con una corda, facendola passare tra la bocca e la branchia e li tengono in acqua al guinzaglio, fino a che, scaduta la loro campagna di pesca, li tirano su e li vendono.





Una barca abbandonata, finita non si sa come,
in cima all’argine durante una piena.

Tra gli incontri personali ricordo soprattutto un nobile che ho contattato e che mi ha messo a disposizione il direttore della sua azienda agricola e un pescatore e mi ha portato in giro per i paesaggi del Po pavese assolutamente fantastici, dove il Po passa nella sua terra; una persona disponibilissima. E’ stato l’unico modo per vedere dei posti, delle lanche e delle rientranze che quasi mi hanno fatto pensare di essere in Amazzonia”.


Foce: attraverso la barca è l’unico modo per poter arrivare a vedere una delle cose più interessanti,
l’immissione di un fiume nell’atro.


Foce parma: ho provato per un’intera giornata a cercare di raggiungere questo punto via terra ma non mi è stato possibile:
molte parti del Po, esattamente come il mare, si possono scoprire e vedere esclusivamente da una barca.
Quando ho cercato di raggiungerla via terra sono entrato in un pioppeto, con l’erba altra oltre un metro,
in un silenzio quasi assurdo, mentre decine di fagiani si levavano in volo al mio passare.

 
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