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Fotogiornalismo: fatti e misfatti
(Era "Robert Capa")...
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Fabio Pianigiani
Messaggio: #51
QUOTE(nuvolarossa @ Mar 22 2005, 11:25 AM)
Un conto è fare un "intervento" che non modifica la realtà ma serve solo a rafforzare il messaggio (certo bisognerebbe dirlo per onestà), un altro è stravolgere la verità.... Ed oggi, in era digitale, tutto è possibile!
*



Il problema è che analizziamo sempre le cose dal nostro punto di vista, senza pensare che quell'immagine, ed il messaggio contenuto, viene indirizzata a milioni di persone che nulla sanno delle tecniche di realizzazione e spesso neanche i fatti che si vanno ad illustrare.

Hai ragione quando dici quelle parole sul film di Benigni, al pari della richiesta di un' Etica nella autentitìcità di una foto.

Ma se queste foto ... e quel film sono indirizzati ad una platea vasta ..... ed il più delle volte ignorante, nel senso che ignora i retroscena e a volte anche i fatti descritti (pensiamo alle nuove generazioni ... ai bambini), esse devono essere di per se il più "didacaliche" possibile.

Anche semplificando o esasperando alcuni passaggi caratterizzanti.

Quindi nella foto del miliziano disquisire sulla sua effettiva morte durante lo scatto.... è un lusso che possiamo permetterci noi "culturalmente evoluti ed informati dei fatti".

Se i russi erano ubriachi o no poco importa .....

Il messaggio che a me arriva è: la querra fa schifo perché porta la morte .... e perché vincitori e vinti si fondono su uno sfondo di distruzione assoluta.

Il film di Benigni ....?
Anche a me ha fatto sorridere in certi punti.
Ma non era rivolto a coloro che quella storia la conoscono bene .....
Ma a quelli ... e sono milioni, che l'hanno vissuta come un'evento lontano ..... oltreoceano ..... in un'altro tempo ..... o a mala pena in 5 pagine sul libro di scuola.

Per intendersi, a mio figlio ha fatto capire "al volo" che quelle persone erano in schiavitù .... strappate agli affetti .... brutalizzate .... ed uccise......
Che l'essere umano è capace di ciò ...... ma anche di impegnarsi per liberarle ......
E che quindi si può scegliere che Uomo essere......
Dopo verrà anche Schindler's List......
Poi se il carro era americano .... russo .... o francese ..... spero che avrà la voglia di studiarselo...... e magari di chiedermelo.

Bella discussione ..... Grazie a tutti!


Al_fa
Messaggio: #52
Beh la realtà è relativa.......... wink.gif
E' un concetto su cui potremmo discutere per ore, giorni e mesi. Prima di sostenere che qualcosa è o non è reale sarebbe giusto cercare di definirlo (e inviterei chiunque a cimentarsi........).

Io credo che la realtà sia irraggiungibile e che possiamo soltanto avere (dentro di noi, nel nostro credo) verità o falsità. Il gioco tra realtà e verità è molto sottile, è parecchio sfruttato e soprattutto cambia la credibilità, la fedeltà o la fiducia degli individui.

Robert Capa, come il suo analogo russo, lo sapevano. Hanno fotografato quindi hanno impressionato una realtà (che la scena sia costruita poco conta), che poi questa realtà venga considerata verità di una guerra civile, di una liberazione comunista dall'opprimente nazismo, o quel che si vuole è soltanto questione di come/dove e perchè si mostra quella fotografia.
carmelogenovesi
Messaggio: #53
Bel 3d!!!

Non sapevo di tutte queste "storie".

Mi duole constatare che la realtà si relativa e penso che un immagine "costruita" possa, con sè, portare un messaggio, ma rientri in un'altra categoria diversa dal fotogiornalismo.

Comunque avete suscitato la mia curiosità su di un fotografo che conosco poco e sul quale mi documenterò anche se non amo le foto di reportage.

Continuate pure, vi leggo con immenso piacere.

ciao.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #54
La foto dell' "orologio" è un altro celebre elemento di discussione, e se vi ricordate ne avevamo parlato quando discutevamo sul digitale e sulla sua presunta facile falsificazione...ancora una volta bisogna riflettere su questo..se la pellicola la prendiamo per sincera, sempre, rischiamo di credere ad una grossa favola prima o poi..

Comunque, spesso le responsabilità vanno aldilà del fotografo, e sono radicate nella politica dei mass-media, che comunque agisce secondo schemi ben precisi..secondo me oiltre alle foto basta leggere i testi per rendersi conto di quante visioni e versioni esistano di un fatto evidentemente identico..

Punti di vista? non credo...tutti noi abbiamo il dovere di interpretare, riflettere ed interrogarci, sempre...altrimenti sarebbero guai..

Ancora una volta ben venga il miliziano di Capa se gli è servito ad ottenere un contratto con Life invece di rassegnarsi in una fabbrica (dove il compromesso e la menzogna dura tutta la vita), anche perchè da quel contratto ereditiamo comunque un patrimonio fotogiornalistico ed umano che tanto manca, oggi.

Ciao a tutti!
_Nico_
Messaggio: #55
Ho appena finito di vedere un film su Italia 1. L'ho visto cominciato come m'accade quasi sempre, ma ho riconosciuto Gene Hackman, il teatro di guerra della Bosnia, e son rimasto incollato al televisore.

Un aereo americano in ricognizione viene abbattutto, il pilota giustiziato a freddo. Il ricognitore, che in quel momento stava cercando di contattatare la base da un'altura, si salva così, ma non riesce a trattenersi da un grido quando vede uccidere il suo commilitone.

Comincia così una lunga fuga, lunghissima, e un'altrettanto lunghissima e feroce caccia nella Bosnia di pochi anni fa, mentre i Serbi mentono in merito all'abbattimento dell'aereo, addebitandolo a forze ribelli.

La caccia è spietata, e il ricognitore vede sfumare ben due volte la possibilità d'essere recuperato. L'ultima a pochi secondi dal contatto con gli elicotteri: i Serbi han diffuso -attraverso filmati video- la falsa notizia che il ricognitore è morto, e il comando NATO annulla l'operazione di recupero.

Malgrado ciò -e penso non sia divertente fuggire per i monti innevati della Bosnia inseguito da un battaglione serbo dotato anche di cingolati- il ricognitore ha l'idea d'attivare il segnale d'allarme del seggiolino espulso. Gli Americani dunque capiscono che in realtà è vivo e decidono un recupero malgrado i divieti NATO.

La battaglia finale esplode su una radura ghiacciata, dove si danno convegno il ricognitore, poi un cecchino che gli dà la caccia, quindi il battaglione cingolato serbo, e infine gli elicotteri americani.

Sulla radura ghiacciata non c'è solo il seggiolino, ma anche il motivo della lunga caccia: le foto scattate dal ricognitore. Foto che documentano il genocidio perpetrato dai Serbi, le fosse colme di cadaveri.

La battaglia è troppo spettacolare per essere vera, il recupero rocambolesco, ma alla fine il ricognitore riesce a consegnare le foto, che recupera in mezzo a un inferno di fuoco. La musica si fa trionfale, e tutta l'equipaggio della portaerei festeggia il suo ritorno.

La questione delle foto mi faceva pensare... Credevo si trattasse d'una sorta di Full metal jacket in versione eroico-elegiaca, ma i titoli di coda m'hanno colpito defiitivamente: l'episodio è reale, e le foto salvate sono servite a incriminare e condannare Miroslav Lokar di genocidio...

Sicuramente Hollywood ci ha ricamato. Ma il fatto è che delle foto sono state oggetto s'un'aspra contesa, e infine motivo d'una condanna.

La foto come montaggio: i Serbi che per guadagnare tempo e trovare il ricognitore lo dichiarano morto, mostrando la divisa dell'Americano sul corpo d'un altro caduto. La foto come testimonianza e strumento di giustizia: le fosse, individuate grazie alle immagini, che inchiodano i carnefici alle loro colpe.

Un film decisamente attuale, attualissimo, che mostra la fotografia in tutta la sua ambivalenza.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #56
QUOTE(_Nico_ @ Mar 23 2005, 11:46 PM)
...
Un film decisamente attuale, attualissimo, che mostra la fotografia in tutta la sua ambivalenza.
*


Ciao Nico,
anche io ho visto il film e anche io non dall'inizio cool.gif ...
Per informazione, il titolo è "Behind Enemy Lines" e qui si può trovare una recensione un po' intelligente (in Inglese...).

Direi che solo sul film si potrebbe aprire un'intera discussione: "noi" abbiamo vissuto di più l'aspetto politico/umano, gli Americani credo lo abbiano visto come un bel videogame girato con begli effetti ma con alcune scene disgustose (la caduta tra i cadaveri) senza sapere che la realtà è stata anche peggiore.
Comunque, niente polemiche.

Questo thread è uno dei più interessanti degli ultimi mesi e io ho un po' di cose da dire (sempre su Capa) ma devo scusarmi perchè in questo periodo non riesco a trovare, per diversi motivi unsure.gif , il tempo necessario e sufficiente per farlo nella maniera più consona.
Prometto comunque che le mie osservazioni arriveranno, anche se il 3D sarà finito in ultima pagina.
Chi mi conosce sa che mantengo le promesse, ma sa anche che non includo mai nella promessa una "data di esecuzione" blink.gif .... laugh.gif laugh.gif !!!

Ciao, mi mancate un sacco wink.gif
Angelo
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #57
QUOTE(_Nico_ @ Mar 23 2005, 11:46 PM)
....... ma i titoli di coda m'hanno colpito defiitivamente: l'episodio è reale, e le foto salvate sono servite a incriminare e condannare Miroslav Lokar di genocidio...
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Un film decisamente attuale, attualissimo, che mostra la fotografia in tutta la sua ambivalenza.
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Leggendo queste considerazioni, Nico, mi sorge comunque, e non posso sottacerlo, una riflessione a proposito della valenza e ambivalenza della fotografia. Se quelle foto fossero state, diciamo così, frutto di una ricostruzione. Avrebbero avuto la stessa valenza per il tribunale dell'Aia? (suppongo).
Il loro contenuto sarebbe senz'altro stato attinente alla cronaca di quei giorni ma, sarebbero state, o avrebbe avuto un senso, accettarle?
Qui il discorso esula da Capa non Capa, vuole solo entrare nello specifico. Quanto ci si può o ci si deve fidare di una fotografia?
Se per lo stesso fatto che il dubbio ci si ponga, non significa forse che la testimonianza fotografica non ha più le certezze che si dovrebbero ad un mezzo che serve, o dovrebbe servire, innanzitutto a documentare, per questo specifico, piuttosto che a interpretare?
_Nico_
Messaggio: #58
QUOTE(__Claudio__ @ Mar 24 2005, 12:32 PM)
Leggendo queste considerazioni, Nico, mi sorge comunque, e non posso sottacerlo, una riflessione a proposito della valenza e ambivalenza della fotografia. Se quelle foto fossero state, diciamo così, frutto di una ricostruzione. Avrebbero avuto la stessa valenza per il tribunale dell'Aia? (suppongo).
Ovviamente no... smile.gif
Ma credo che non abbiano costituito prova di reato, bensì strumento per trovare, ahimè, i corpi del reato... Accompagnate da latitudine e longitudine hanno consentito di scoprire gli eccidi di massa perpetrati da quel simpaticone di Lokar.
QUOTE(__Claudio__ @ Mar 24 2005, 12:32 PM)
Se per lo stesso fatto che il dubbio ci si ponga, non significa forse che la testimonianza fotografica non ha più le certezze che si dovrebbero ad un mezzo che serve, o dovrebbe servire, innanzitutto a documentare, per questo specifico, piuttosto che a interpretare?
È proprio su questo punto che emerge l'ambivalenza della fotografia. Non saprei se la fotografia sia mai stata considerata testimone fedele dei fatti, so però che il ritocco comincia con la stessa fotografia. E ben sappiamo che anche la documentazione più rigorosa è già, comunque interpretazione: l'ottica, l'inquadratura bastano e avanzano per interpetare...

Molto spesso basta omettere qualcosa. Ai Serbi è stato sufficiente mostrare un corpo, vestito della divisa dell'Americano, per ottenere quanto desideravano: altro tempo per trovare il ricognitore e farlo secco. C'è un punto sicuramente 'costruito' nel film. Giunto ad Hac, il ricognitore dovrebbe essere raccolto dalla NATO, ma Lokar assalta la città. Il ricognitore riesce a scappare perché scambia la propria divisa con quella d'un soldato serbo morto.

Quando i Serbi trovano il cadavere con la divisa americana, per un attimo pensano d'averlo finalmente ucciso, ma un cecchino afferma che non può essere il soldato americano, perché ha un tatuaggio che veniva impresso ai reclusi d'un carcere serbo. Questo è probabilmente un dettaglio inventato. Infatti il cecchino è morto, il ricognitore non poteva sapere cosa avvenne mentre era in fuga, e dubito che Lokar abbia parlato di ciò.

Tuttavia i Serbi hanno comunque capito che non si trattava dell'Americano, ma hanno avuto una trovata geniale: dimostrare ancora una volta che l'abito fa il monaco. È bastato riprendere il cadavere con la testa reclinata, sostenuto da due soldati serbi, e zoomare sulla divisa americana, e soprattutto sulla targhetta col nome.

In questo caso è bastato omettere alcuni dettagliucci: ma l'immagine, in sé, non era 'costruita'. Questo è dunque un caso intermedio: l'immagine è assolutamente fedele ai fatti, ma l'omissione di alcune informazioni ne consente una lettura completamente alterata.

L'ambivalenza della fotografia è strettamente connessa all'ambiguità costitutiva dell'immagine: le immagini hanno un ventaglio di significati che non le rende inequivocabili come il concetto, così com'è trattato dalla legge o dai sistemi dottrinali o filosofici. Il fatto è che mentre il linguaggio verbale si fonda su unità minime prive in sé di significato, cioè i fonemi (praticamente le sillabe), nel mondo delle forme anche la più semplice veicola comunque un significato.

E se nel mondo dei fatti raramente basta indossare un camice e uno stetoscopio per divenire un medico (dico raramente perché in Italia è successo... rolleyes.gif), nel mondo della fotografia è sufficiente per trasformare in medico chiunque. Se poi lo mettiamo a fianco d'un paziente d'una corsia d'ospedale, pochissimi dubiteranno di ciò che vedono...
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #59
E' un vero piacere discutere con te Nico!
nuvolarossa
Messaggio: #60
QUOTE(__Claudio__ @ Mar 24 2005, 03:54 PM)
E' un vero piacere discutere con te Nico!
*



Confermo, e allargo il pensiero a Claudio ed agli altri che stanno partecipando a questa discussione... Pollice.gif
Luca Moi
Messaggio: #61
Sottoscrivo in pieno pure io!!!
Halberman
Messaggio: #62
Nico, per parlare dell'ambivalenza della fotografia, ha bene richiamato la differenza e le somiglianze esistenti tra linguaggio "arbitrario" (una lingua) e linguaggio "iconico" (per immagini).

Le lingue umane sono arbitrarie in quanto costituite di segni, come le parole, che non hanno una relazione naturale con ciò che significano; ne è una dimostrazione il fatto che lo stesso significato è rappresentato in lingue diverse con parole diverse. Applicazioni di linguaggio iconico sono, per semplificare, ad es., le figurine sulle porte dei servizi igienici.

Il linguaggio arbitrario (ad es. la lingua orale o scritta), che è soggetto a "codificazione" e a "decodificazione", non è esente da alcuni problemi di comunicazione. Chi pronuncia o chi scrive (cioè chi "codifica") un messaggio e chi lo riceve (cioè chi lo "decodifica") utilizzano, è vero, entrambi la stessa lingua, ma hanno abitudini e cultura linguistiche differenti; per di più, la stessa parola può avere oggettivamente significati diversi in contesti differenti e, inoltre, lo stesso messaggio può essere comunicato con parole e frasi diverse.

E' per questo che non è detto che chi riceve il messaggio sia nella condizione di cogliere tutti i significati e tutte le sfumature che l'emittente ha inteso trasmettere. Basti pensare alle incomprensioni che possono generarsi tra due interlocutori al telefono, quando non possono vedere la rispettiva mimica facciale, oppure al testo di una legge che, composto dal legislatore con finalità precise, si presta molto facilmente (e inevitabilmente) a molte interpretazioni e, purtroppo, perfino a travisamenti; oppure, ancora, alla difficoltà di riferire, non a memoria, per filo e per segno un discorso fatto da altri.

Il linguaggio iconico, per immagini, è, apparentemente, assai meno equivocabile e meno soggetto ad una "decodificazione" elaborata: un'immagine di qualcosa è immediatamente identificabile da chiunque; se metto al cancello l'immagine minacciosa di un cane, essa è più eloquente di qualsiasi parola ed è comprensibile a chiunque, anche di lingua diversa.
Tuttavia anche l'immagine, quindi anche una foto (che, ovviamente, è comunicazione iconica), è soggetta a "codificazione" da parte di chi la costruisce e a interpretazione ("decodificazione") da parte di chi la osserva. La codificazione e l'interpretazione cambiano secondo il contesto. Il contesto può essere interno alla foto, ottenuto mediante la scelta del soggetto, l'inquadratura, l'uso di un certo obiettivo, la scelta della luce...; oppure esterno: una foto che, inserita in un racconto fotografico, ha una sua valenza significativa, perché parte di un tutto, se presa isolatamente può perdere qualunque significato oppure acquistarne uno del tutto nuovo. Lo stesso avviene per una parola o una frase estrapolata dal suo contesto.

Qui sta il problema dell'ambivalenza della fotografia. Ed è un problema molto importante, perché si tratta di immagini, che hanno un impatto particolare sull'osservatore.

Una foto è di per sé in grado di rappresentare la realtà così com'è (lo sanno fin troppo bene i ritrattisti). La macchina fotografica, con i suoi componenti materiali, non obbedisce a nessuna ideologia (nel senso ampio di ricerca di una finalità specifica); è perfettamente neutrale. Il fatto è che è sempre e soltanto il fotografo, cioè un essere umano, che decide i soggetti, le situazioni, i particolari da riprendere, cioè il contesto. E ogni essere umano ha una propria finalità specifica nelle sue azioni e, dunque, anche nello scattare una foto, quella determinata foto, che dunque sarà fatta, non per caso, in quel certo modo, con quei soggetti, escludendo alcuni elementi e includendone altri. Il fotografo userà tutti gli accorgimenti tecnici possibili per ottenere la foto che si propone di ottenere.

Tutto ciò che un uomo pensa intellettualmente o giudica o vede o sente è interpretazione di sé o delle azioni degli altri o del mondo che lo circonda. E fino dagli albori della fotografia, pur nei limiti tecnologici di quei tempi, i fotografi scoprirono quasi subito quali possibilità e vantaggi potevano derivare, per le loro "finalità" più o meno esplicite, dal presentare fotografie di scene sapientemente scelte o composte, che il pubblico avrebbe interpretato come "oggettive".

Anch'io non so se ci sia stato veramente qualcuno, esperto di fotografia, che abbia mai pensato alla fotografia come rappresentazione oggettiva del reale. Certamente il grosso pubblico lo pensò nel passato e lo pensa, in fondo, anche oggi, quando l'assenza di oggettività di una foto, con la tecnologia che si ha a disposizione, può essere addirittura assoluta.

Il fatto è che una fotografia o un reportage hanno un impatto visivo e psicologico enorme. Anche se questo non spiega come il credito dato alla veridicità di una foto abbia così spesso determinato e determini istantaneamente, ancora oggi, disperazione, gioia, scandali e polemiche. Né spiega come, quasi sempre, queste reazioni siano state così immediate da escludere che qualsiasi specialista del campo abbia avuto il tempo per un'analisi tecnica ben condotta della foto, che potesse dissipare i legittimi dubbi.

Per concludere questo troppo lungo post (devo ammettere che richiede molta pazienza per leggerlo, scusatemi), la fotografia è sicuramente un'arte, e una delle più nobili, tra le figurative.
Se una foto deve servire da documentazione, voglio dire da documentazione più sicura e ineccepibile possibile, occorre trovare qualche espediente tecnologico che, senza eliminare gli interventi "materiali" e "finalistici" del fotografo al momento della ripresa (di per sé ineliminabili e leciti), consenta di risalire con sicurezza (mediante tracce elettroniche indelebili ? la tecnologia potrà fare anche questo ? chissà ?!) a tutti i passaggi trasformativi ottenuti elettronicamente con interventi operati all'atto dello scatto e/o di postproduzione.

Saluti
Alberto

.



Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #63
Altre ottime considerazioni di Alberto che mi convincono sempre più, unite a quelle di Nico, di Diego e di Cristiano e di tutti gli intervenuti, che alla base del nostro intendere ci sia comunque una sorta di sfiducia di fondo quando ci poniamo di fronte ad una notizia. Sia essa letta attraverso un articolo, sia essa vista attraverso una foto viene di conseguenza e quasi immediatamente il dubbio, o comunque la voglia, di chiederci se siamo davanti ad una realtà o ad un'interpretazione di "una" delle realtà possibili, che viene vista, filtrata e presentata, anche in buona fede, da chi l'articolo o la foto ha fatto. E' questo il momento, in cui molto spesso si scontra la nostra voglia di vedere confermata, attraverso la foto, la nostra tesi preconcetta, con una realtà che invece proprio attraverso essa viene non solo messa in dubbio, ma a volte completamente ribaltata. Di lì i dubbi e le incertezze se il significato che la foto dà dell'avvenimento è reale o interpretato...e ci si avvolge in una spirale che vede contrapporsi la realtà per come la sentiamo o per come ci viene proposta.
Ma porsi dubbi e problematiche è alla base della ricerca, questo alla fine non può che essere un bene per chi è fruitore della foto e per chi la foto la esegue perchè consapevole, che sarà passata comunque al vaglio delle coscenze altrui.
Quel che si chiede infine è solo quel pizzico di onestà che mai dovrebbe comunque mancare in chi fa uso di mezzi di comunicazione, senza nulla pretendere.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #64
QUOTE(_Nico_ @ Mar 21 2005, 12:49 AM)
... Ma il riferimento forte per Capa era certamente Los fusilamientos di Goya, ...
*


Scusate il ritardo.
Questa riflessione di Nico mi aveva acceso una lampadina e, una volta tanto, sono riuscito a ritrovare ... l'interruttore.
Quella che riporto qui di seguito (non completa) è l'introduzione ad uno dei fascicoli annuali di Reporter Sans Frontier (se non ricordo male del 1997, quando venivano ancora tradotti in Italiano) con le immagini di Raymond Depardon.
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Raymond Depardon, la generosità di uno sguardo di Jorge Semprun
Una delle incisioni dei Disastri della guerra di Goya, quella — che per essere esatti porta il numero 44 — rappresenta una folla di uomini, bambini e donne in fuga da un invisibile, ma terrificante pericolo: i gesti dei personaggi in primo piano, specie quelli della madre che richiama il suo bambino, lo mostrano chiaramente.

Un'immagine che, per quanto sia datata per il suo stile e i dettagli dell'abbigliamento, acquisisce un valore universale. Emblematico, in un certo modo: tutte le folle di rifugiati delle guerre che hanno fatto seguito a quella — napoleonica, all'inizio del diciannovesimo secolo — che ispirò la collera critica e disperata di Goya, vi si possono trovare rappresentate.

Ma non è per la forza dell'immagine, per le sue qualità artistiche e morali che evoco questa incisione. E' per la sua didascalia.

Si sa che Goya apponeva delle didascalie alle sue incisioni — quelle dei Disastri come quelle dei Capricci — con uno stile particolare. In una lingua che porta alla sua più pura incandescenza la concisione brutale e disincantata di un castigliano spogliato di qualsiasi escrescenza barocca.

La didascalia dell'incisione numero 44 dei Disastri della guerra porta come sottotitolo o didascalia queste tre parole: Yo lo vì. Che significa: Io l'ho visto. Che vuol dire, quindi: questa non è una favola, un'invenzione, questo è vero. Non ho inventato niente, io l'ho visto. Con i miei occhi. Voi potete credermi. Io ho visto queste folle di fuggitivi terrorizzati, questi corpi impalati, queste soldatesche, queste donne violentate, questi disastri della guerra

La guerra è un disastro, credetemi.

Questo ruolo di testimoni critici — Yo lo vì: Io l'ho visto — che hanno giocato altre volte, con le loro incisioni, disegni, acquaforti, alcuni artisti (ne citerò tre, molto diversi tra loro Callot, Goya, Daumier), che giocano sempre, in un contesto e in una posizione differenti, disegnatori o caricaturisti di pubblicazioni periodiche (ne cito altri tre, a titolo di esempio: Steinberg, Sempé, Plantu); questo scavare sotto la superficie, prendere le distanze, che invita alla riflessione, facendo esplodere nella bellezza estetica di un'immagine, di volta in volta, la miseria materiale o morale del nostro universo, questo ruolo e ormai soprattutto assegnato ai fotografi.

L'arte della fotografia, per la straordinaria plasticità della sua essenza tecnica, si presta ammirevolmente a questo ruolo di osservatore onnipresente, fermo sulla sua posizione critica Yo lo vì: la didascalia di Goya potrebbe essere la parola d'ordine di tuffi i reporter.

Certamente, questa plasticità tecnica, questa capacità di cogliere l'istantaneo, l'eternità dell'effimero, che sembrano caratterizzare l'arte della fotografia, non sono state raggiunte da subito. All'inizio, le lunghe pose necessarie per la registrazione fotografica del reale impedivano l'istantaneità. Quell'ombra indecisa, in un celebre dagherrotipo, è la silhouette di un passante che l'apparecchio non riesce a fissare.

Ma non è il luogo nè il momento di evocare i paradossi della storia della fotografia. Walter Benjamin, d'altronde, l'ha già fatto. In questa occasione io vorrei semplicemente insistere sul ruolo cruciale dei fotografi nella cattura del mondo reale.

Cruciale per diversi ragioni.

Prima di tutto, perché le esigenze di un'informazione completa fanno sì che i fotografi siano dappertutto, si spostino lungo tutte le frontiere e le fratture del mondo reale. Catastrofi naturali, sciagure di guerra, migrazioni di profughi, competizioni sportive, ostentato lusso dei ricchi, idiozia allucinata di certi sguardi di VIP, insostenibili sguardi di bambini affamati in Africa o in qualsiasi posto: tutti i territori del reale sono “coperti” dall'occhio impietoso o tenero, neutrale e commosso allo stesso tempo, dei grandi reporter.

Alcuni, dando prova di un elitarismo di dubbio gusto, si lamentano dell'eccesso d'informazioni e dell'eccesso di immagini che caratterizzano la nostra società. Non ce n'è mai abbastanza di immagini, quando sono significative. E poi, gli storici del futuro avranno negli archivi fotografici una fonte incomparabile di conoscenza.
...[omissis]...
--------------------------------

Sono dell'opinione che tutte queste parole siano ugualmente, se non di più, applicabili al lavoro di Capa.
Ritornando alla foto "incriminata" ci ho pensato su parecchio e sono ritornato sui miei passi non ritenendo quello di Capa un "errore".
Ho forzatamente cercato di mettermi nei suoi panni (non è molto facile) e ho rivissuto sulla mia pelle un forte senso di frustrazione: la frustrazione di aver visto e non essere riuscito a catturare ma avendo una fortissima volontà di comunicare con un'immagine (il mio linguaggio) ciò che "Yo lo vì".
Mi immagino lì a rifare prove su prove con soldati-attori che mi aiutano nell'intento di ricreare "un disastro" che ho visto, più volte, e che voglio mostrare al mondo, ma che non riesco a ricreare nella sua dura e cruenta drammaticità reale. Alla fine ottengo uno scatto che si avvicina al mio ricordo ben impresso nella mente e allora decido di renderlo pubblico.
Perchè non dico che è "costruito" ? Perchè ciò che ho impresso sulla mia pellicola è qualcosa di finto che rappresenta però qualcosa di assolutamente vero. Se il mio linguaggio fosse la pittura o la scultura il problema non si porrebbe: perchè devo pormelo proprio io ? Se dico che la foto è "finta" penseranno che anche la guerra sia "finta": non lo posso permettere...


Questa credo sia solo una delle infinite chiavi di lettura che possiamo dare alla vicenda, ma aggiungendola a tutte le sacrosante osservazioni fatte da voi, io non mi sento più di accusare Capa per ciò che ha fatto, anche se condivido con voi che oggigiorno un comportamento simile sarebbe inaccettabile.
E' molto difficile giudicare la storia con "senno di poi"; io non intendo giuducare, ma solo comprendere meglio...
Forse in quel momento il ruolo di "comunicatore" prevale su quello di fotografo, forse ci sono tutte le pressioni al contorno che lo spingono a fare questo gesto per puro opportunismo ...
Io preferisco considerare Capa un puro di spirito, come faccio sempre con chiunque, e vedere quindi il lato "positivo" delle cose, correndo magari il rischio di sbagliare.

Per completezza vi invio anche un'immagine dell'incisione di Goya citata da Semprun.

Ciao e grazie a tutti per questa interessante e stimolante discussione.
Angelo
Anteprima(e) allegate
Immagine Allegata

 
Luca Moi
Messaggio: #65
Ottimo spunto di riflessione, Angelo, lo trovo molto valido e interessante e piace anche a me pensarla così.
Per lo meno è una interpretazione molto suggestiva, e in mancanza di prove certe di quali fossero le reali intenzioni del fotografo, non me la sento di condannarlo per questo falso, e preferisco credere alla sua buona fede.
E' vero che c'è chi ha detto che a pensare male si commette peccato ma spesso ci si azzecca, ma è anche vero che chi l'ha detto non rientra tra le persone che stimo...
Poi quello che Capa aveva in mente con quella foto solo lui lo poteva saperlo...quello che conta è che il messaggio di condanna della guerra sia giunto fino a noi con tutta la forza che lo contraddistingue
abumail
Messaggio: #66
Questa discussione iniziata con Capa è diventata interessante e ha aperto a questioni etiche e filosofiche non indifferenti.
Ho avuto la fortuna di assistere alla presentazione della mostra di J. Natchway a Reggio Emilia lo scorso anno, e la cosa che mi ha colpito maggiormente del fotografo J.N. è la modestia, che lo ha portato a scusarsi per non poter parlare in italiano!!!!!
Dei contenuti essenziali di quella conferenza mi è rimasto in mente come J. abbia espressamente detto che quando fotografa persone in condizioni disagiate, si sente in dovere nei loro confronti di dare loro un mano, il suo strumento per farlo è la fotografia.
Questo modo di pensare mi ricorda anche un atteggiamento non molto distante di Dorothea Lange, durante il suo periodo nella FSA in cui è chiamata raccontare la depressione americana con foto diventate celebri e non meno evocative di quelle di guerra spesso citate.
D.L. “Sedeva lì, sotto quella tenda, con i figli accalcati intorno, sembrava che sapesse che le mie foto avrebbero potuto aiutarla, così come lei aiutò me. C’era una sorta di rapporto di parità tra noi.”
Forse Capa era cosciente della forza dello strumento di comunicazione che aveva a disposizione, il mezzo foto sia questa originale o meno, passa in secondo piano perché lo scopo è preponderante, veicolare un messaggio.
La guerra è sempre una sconfitta

Ma ricordando lo sbarco in Normandia, la bella vita quasi a saturare il tempo fuori dal contesto per lui naturale, la guerra :poi la fine tragica, diventa difficile criticare una o più foto “costruite”, anche perché nella mente del fotografo la foto si costruisce sempre. A volte la si trova già realizzata e basta scattare spesso bisogna costruirla, non siamo tutti H.C.B..
Vorrei ricordare come in un libro, non di guerra ma di civiltà, “un Paese” Strand ritrae la vita con un banco ottico, le sue foto sono costruite ma chi nega il valore documentaristico.
Le foto di Capa sono civiltà, memoria e umanità, chi ha visto una sua mostra o la monografia della Contrasto con oltre 900 foto si renderà conto della testimonianza unica e completa che ha restituito della prima metà del secolo scorso.
Ripeterò una cosa gia letta nel forum, ma le foto di Capa non sono solo pellicola impressa e stampata sono diventate icone di un’epoca e come tali hanno acquisito il valore di verità dato dalla loro continua riproposizione.
“La sua macchina fotografica coglieva l’emozione e la tratteneva. Le sue foto sono incidenti…..Era in grado di fotografare il pensiero.” J. Steinbeck ( La citazione è già stata messa nel forum ma la versione “estesa”, mi sembra migliore nel contesto di quanto o scritto)


Saluti Giovanni
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #67
E' un bel po' che seguo la discussione e devo constatare, con rammarico, che la posizione di fotografia come testimonianza reale e fedele di quanto si è visto senza interpretazioni è in netta minoranza.
Tra chi si adegua ad un sistema che falsa la verità piegandola allo scopo finale e chi approva questa manipolazione della realtà, perchè ciò che conta è il fine, devo dire che è molto spiacevole e sconfortante.
Abituato a leggere testi di uomini che passano tutta la loro vita a scavare per cercare anche un solo barlume di ciò che può essere stato vero e che grazie ad un sistema di pensiero che piegava al fine il vero è reso complicatissimo, sentire parlare di ciò che conta è il risultato, a macabra citazione di un Machiavelli, è davvero preoccupante e triste.
Ciò nondimeno credo a tutto quanto detto da Diego e non solo di quello che succede nelle redazioni e questo rende la cosa ancor più spicevole.
Dopo anni di fotografie che mostravano campi di concentramento felici, guerre mostrate da una sola parte, si fosse arrivati nella società moderna a capire il valore e la forza della testimonianza di ciò che è stato.
Come una cosa può essere piegata a fini moraleggianti corretti così può esserlo a fini opposti e così è stato da sempre, e quando qualcuno posta foto false ancora oggi invece che suscitare indignazione e relegarlo dove si merita, cioè nel mondo dei propagandisti inutili, li si esalta e li si porta in trionfo, perchè mostrano il pensiero comune. Non pensavo ad un fotografo asservito all'idea dominante, cresciuto con il mito del giornalista che contro ogni logica, guarda dalla parte opposta a dove tutti guardano per vedere anche quello che gli altri non vedono e studiando una materia e un metodo di lavoro che dubita di tutti proprio per capire cosa effettivamente è stato e dubita di tutti proprio perchè tutti volontariamente o no piegano la realtà, trovo terribilmente deprimente vedere esaltare senza il minimo riguardo il rimescolamento della verità al fine, non solo interpretato in buona fede, ma volontariamente taroccata per esprimere il pensiero comune.
Anche se sembra una filippica, me ne rendo conto, non lo è... è solo un pensiero d tristezza che mi sentivo di esprimere, senza voler pontificare o litigare, è solo un pensiero che mi nasceva dal cuore e che ho espresso in questa fortunatamente splendida comunità, che accetta anche quelli che scrivono cose inutili come quelle dette ora.
Cris
sergiobutta
Messaggio: #68
Caro Cristiano, intervengo solo ora in questo interessantissimo 3D, perchè, di volta in volta, trovavo negli interventi di tutti voi buona parte delle mie idee. Ora, invece, ti trovo un pò troppo rigido, e affronti la discussione guardando con ottica diversa e, spesso contrastante alcuni aspetti. Cerco di spiegarmi, spero di riuscirci. Per comodità e semplicità, non scenderò, in questo intervento, nel dettaglio dei limiti che, oggi, si devono imporre (se) alla manipolazione di una fotografia per farla essere ancora tale. Invece vorrei vedere di chiudere il fatto Capa. Dovremmo però fare un passo dietro e definire come vediamo la fotografia. Un'arte, la rigida riproduzione della realtà, la realtà vista dal fotografo, un blocco per appunti e nient'altro. Tu mi sembri orientato esclusivamente verso una definizione di "blocco per appunti", dimenticando che spesso vediamo foto molto ben fatte in cui il fotografo ci mette tanto di suo. Inoltre,i dovremmo dimenticare la frase tanto spesso ricorrente sul nostro forum "è il manico che fa la fotografia". Se non ho capito male il senso dell'ultimo intervento, un robot sarebbe un ottimo fotografo. Nel caso in cui "il manico" possa metterci qualcosa di suo, dobbiamo rivalutare, facendo tesoro dell'intervento di Pegaso, la ricostruzione pedissequa che Capa ha fatto di una cosa vista cento volte, una realtà soltanto differita in ripresa. Perchè è sicuramente una fotografia, ripresa "sul campo", riproducente fatti accaduti. Qiundi, con riferimento alla foto, ci troviamo di fronte ad un'opera assolutamente "sincera". Viceversa, sempre che non abbia sbagliato ad intendere il tuo intervento, dovremmo cancellare dal mondo della fotografia le riprese in studio, oppure accertarci che le pose assunte da modelli e modelle facciano parte del loro comportamento. Mentre, invece, le pose normalmnte le suggerisce il fotografo. Più scrivo, più penso di aver capito male quanto hai scritto. Correggimi.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #69
In parte sì e in parte no.
Ovviamente io sto parlando della fotografia di giornalismo, quella fatta per raccontare un fatto. La fotografia in studio etc, ha indubitabilmente il suo valore, io non l'apprezzo particolarmente, a queste personalmente preferisco i dipinti.
Nell'ambito del fotogiornalismo io preferisco la riproduzione non robotica, ma partecipata e anche personale, ma di,come tu dici, "una cosa vista ". Se il fotografo esprime la tragicità di qualcosa che effettivamente vede nel momento in cui la vede [per me (e quindi assolutamente minoritario)] incontra il mio plauso, se questi ricostruisce quanto lui pensa della tragicità di un evento comune, non di un vento accaduto, ma di un evento comune, a pare mio, poteva evitare la fatica di farsi il viaggio ed allestire un ottimo studio. Che sia effettivamente la collina o non lo sia a me che interessa suscita? Farsi tutta una scarpinata, rischiare la pelle sotto le bombe per andare a costruire una foto lo trovo illogico, prendi una collina, prendi un miliziano, fai un bel collage e senza muoverti dalla camera oscura ottieni una grande foto. Come detto precedentemente invece di far fischiare i proiettili sopra le tue teste, fotografa il set di salvate il soldato Ryan (si scriverà così?!) ed ecco che dimostri l'orrore della guerra. nessuno è morto nel film, sono tutti vivi, eppure chi potrebbe negare la durezza e la riflessione che quelle immagini suscita? Il fine l'hai raggiunto!
ma se ti imbarchi con i soldati e mentre i tedeschi ti sparano addosso e muoiono migliaia di tuoi compagni, tu scatti delle foto tremolanti, male esposte, non è per dire che la guerra è brutta, non è (o non dovrebbe essere per me a questo punto) per realizzare una immagine che potevi fare sulla spiaggia di malibù sorseggiando tequila, ma per far vedere al mondo quello che è in quel momento in quel posto a tanti chilometri dalle spiagge assolate, piene di donne in bikini. Vuoi raccontarmi quanto ti fa schifo quello che stai vedendo e dirmi " tu che te ne stai seduto al computer guarda come questo uomo del Biafra si trascina all'infermeria", io ti ammiro per questo. Ma se metti un uomo a camminare a carponi sulle pietraie di Matera e poi lo prosciughi al computer (non so se sia possibile, dico tanto per dire) facendolo apparire pelle e ossa, il fine lo hai raggiunto lo stesso, hai incontrato il sapere comune. Qualcuno di voi infatti non sapeva che i miliziani morivano in Spagna? Capa ha interpretato il sentimento comune e così fanno tanti fotografi, ma non mi ha raccontato né mi ha fatto vedere cosa è accaduto.
Quando un fotografo ci mette del suo, io intendo, che ci mette la sua capacità di drammatizzare l'evento, la sua capacità di raccontare l'evento che vede, non mi interessa quanti miliziani ha visto morire Capa, quello non l'ha visto morire ed è diventato un testimone falso (a mio parere).
Chissene frega?
Spiacente non riesco a dirlo! Un blocco d'appunti? Sì in un certo senso sì. io non voglio capire le atrocità delle guerre, voglio sapere l'atrocità di quella guerra. Se voglio commuovermi delle schifezze del vietnam guardo Platoon, se voglio sapere cosa quella persona ha visto in vietnam guardo mcCullin. Non pretendo da lui che mi racconti l'intero vietnam, voglio che mi faccia vedere quello che lui ha visto in vietnam. Voglio che mi racconti la sua Londra attraverso quello che ha visto, non attraverso quello che ha costruito. Non voglio che un fotografo mi racconti una storia costruita, voglio che mi testimoni quello che ha visto e l'idea che si è fatto. Capa e i tanti che mi hanno costruito delle visioni, non mi raccontano nulla, sono io (persona) che devo andare a ricercare il significato di quello che mi è raccontato. Come in un quadro (e spero di non bestemmiare, ma Nico potrà sicuramente dirmelo) esistono diversi livelli di analisi il più semplice è quello che c'è nel quadro, poi esistono l'analisi dei colori, dei contesti e di una infinità di cose, che portano alla corretta comprensione del quadro, alla sua contestualizzazione e, se ignota, alla sua attribuzione. La fotografia può essere vista allo stesso modo, quindi come un ARTE, a cui degli ARTISTI si dedicano. Oppure la fotografia può essere vista come un ricordo, più o meno esteticamente gradevole, più o meno personale, ma la diretta testimonianza di qualcosa che si è visto.
Nel primo caso, a mio parere, sarebbero dovute rientrare tutti i generi pensati e costruiti con un fine, nel secondo caso i reportage e le foto di giornalismo. Ognuno con la sua visione, quindi non da robot, ma qualcosa che si è visto nel momento dello scatto.
Ho semplicemente constatato che così non è per la comunità degli appassionati di fotografia e che anzi la foto di giornalismo può e deve avere un fine, una appartenenza, uno schieramento, dato dal fine per cui quella foto è stata fatta.
Non ho soluzioni, la democrazia è fatta da una maggioranza e una minoranza, io appartengo alla minoranza che vede il fotogiornalismo e il reportage etnografico diverso dalla fotografia in genere e quindi per i quali contano altre regole, trai quali la totale indipendenza dai luoghi comuni e dalle costruzioni. Come già mi aveva detto Diego, questo non è vero e, come vedo, per molti neanche auspicabile, ma preferiscono un giornalismo finalizzato, che a mio parere continua ad essere esclusivamente propaganda.
Non ho altro da dire al riguardo e data la lunghezza dei miei messaggi è anche un bene, continua solo a dispiacermi che la costruzione delle notizie (immagini) sia giustificata e apprezzata se e quando queste corrrispondano al sentire comune, chi riterrebbe infatti i filmati nazisti un fulgido esempio di giornalismo, o le immagini pubblicate all'epoca delle testimonianze valide, eppure anche loro erano costruite per un fine e spesso con estrema maestria. Avevano splendide scenografie e musiche meravigliose e il cineoperatore, ci metteva tanto di suo. Eppure per noi quelle sono una sporca e turpe propaganda, ma le foto di giornalismo costruite sono una testimonianza drammatica, per il semplice fatto che corrispondono a quanto noi riteniamo. Il fotografo reporter per me ha il compito di nararre quello che vede, come lui lo vede, con le capacità tecniche e umane che lui ha, ma solo e unicamente quello che vede nel momento in cui lo vede. La foto giornalistica per me dura un attimo è l'attimo in cui l'evento accade.
Non è così... me ne posso solo che dispiacere.
Il mondo dei robot è un mondo costruito e non è quello che io voglio, se io e te, caro Sergio, stiamo in uno stesso posto in uno stesso momento, non fotograferemo mai la stessa cosa nella stessa maniera, per cui introdurremo una interpretazione in ogni caso, ma se tu mi incolli il Papa alla finestra e mi dici che il Papa si è affacciato a quella finestra, non mi stai testimoniando come sta ora il Papa, per cui non mi dici niente di nuovo, non mi stai dando una notizia,anche se il Papa si è affacciato migliaia di volte a quella finestra, ora non lo fa, quello è importante, così come è importante quando e spero lo farà presto quando lui si riaffaccerà ancora alla finestra.
Giuro che cercherò di non rompere più
Cris
sergiobutta
Messaggio: #70
Aspetta, aspetta. La discussione era scivolata sulla liceità di manipolazione di una foto, e fino a quale punto il postproduzione potesse intervenire. Ed io qui sono d'accordo nel dire che non si deve andare oltre quanto riesce a rappresentare una macchina fotografica. Ma se tu mi dici che una foto fatta in studio non ha diritto di essere classificata come foto, non mi trovi d'accordo. Perchè, in caso contrario, se fotografiamo insieme il Papa che si affaccia dalla finestra, dallo stesso punto, con lo stesso obiettivo, sotto l'aspetto contenuto la foto sarà identica, quindi, addio manico ...
Bada bene, io sono l'ultimo ad apprezzare le foto che si distaccano troppo dalla realtà. Dico che è anche un metodo per non lasciar comprendere le capacità del fotografo. Ma se per rappresentare la guerra in Spagna, diventa rilevante far vedere che il soldato è caduto a destra o a sinistra, che il sangue sia comparso o meno sulla giacca, bè qui anch'ìo posso dire che basta vedere Ryan (abbrevio). Se invece, una foto scattata con macchina fotografica in studio (o quasi) è così d'impatto da diventare il simbolo della resistenza spagnola ... tanto di cappello ad un Fotografo con la F maiuscola.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #71
QUOTE(sergiobutta @ Apr 2 2005, 05:07 PM)
Se invece, una foto scattata con macchina fotografica in studio (o quasi) è così d'impatto da diventare il simbolo della resistenza spagnola ... tanto di cappello ad un Fotografo con la F maiuscola.
*



E chi lo dice che la resistenza spagnola aveva ragione? Questo è uno dei punti di vista possibili, non il solo punto di vista. E' come ammettere che Berlino è stata "liberata" dai russi. In questo caso è il punto di vista di Capa, non la verità storica. Poi non si vuole ammettere un'altra cosa e non capisco perchè. Ammesso e non concesso che "l'operazione" sia lecita...è il tentativo di presa per il culo che il simpatico furfante ha tentato, che continua a non andarmi giù. Come c...o si fa ad inventarsi di sana pianta che lo scatto è frutto dell'attimo colto mentre correva sulla collina? Questa amici miei cari, dalle mie parti ha un nome ed uno solo: malafede.
Ma siccome la st.....a è stata detta da un mito, invece di chiamarla con il suo nome, ci stiamo contorcendo su scuse che non offendano quel sentir comune di cui si parlava.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #72
QUOTE
Ma se tu mi dici che una foto fatta in studio non ha diritto di essere classificata come foto

Assolutamente ha diritto di essere considerata foto, non so quanto abbia il diritto di essere foto di fotogiornalismo.

QUOTE
La discussione era scivolata sulla liceità di manipolazione di una foto, e fino a quale punto il postproduzione potesse intervenire

chiedo scusa, ero rimasto un po' indietro causa malattia e quindi mi sto rileggendo un po' alla volta quanto perso.

QUOTE
se fotografiamo insieme il Papa che si affaccia dalla finestra, dallo stesso punto, con lo stesso obiettivo, sotto l'aspetto contenuto la foto sarà identica, quindi, addio manico ...

io continuo a non crederlo. Allora si che saremmo robot, ossia nel caso in cui abbiamo gli stessi mezzi facciamo la stessa foto, invece il "manico" è proprio perchè con gli stessi mezzi non facciamo la stessa foto

Cordialmente
Cris
sergiobutta
Messaggio: #73
M'avete messo in mezzo!!. Per Claudio : non facevo un discorso politico, nè tantomeno davo un giudizio morale sulla contraffazione. Davo un giudizio sulla foto, che, a mio avviso, scattata in tempo reale o in differito non cambia. E' una bella foto che deve far conoscere al mondo situazioni di quella guerra. Per Cristiano : vedi che mi mancava un parametro : tu parlavi di fotogiornalismo e basta, io di fotografia. E non penso che su un reportage di prima linea, il manico sia determinante. Se sei in un determinato posto in un certo momento non hai il tempo di aggiungere nulla a quello che l'obiettivo inquadra. Se, invece, la foto la studi e la prepari, la fotografia ti appartiene veramente.
abumail
Messaggio: #74
Sono molto contento che esistano ancora persone pure come Cristiano, che confidano nella veridicità di un mezzo tecnico.
Purtroppo la generazione mitica dei fotografi che dovevano porsi il problema della foto “vera”, in contrasto con l’arte pittorica all’ora concorrente diretta della fotografia, è passata da tempo.
Oggi la fotografia è un’arte che nel corso del secolo scorso ha avuto una codificazione culturale molto importante.
Voglio dire che la foto non è vera per principio, la macchina fotografica è un mezzo, la fotografia (stampata) un’immagine, ma il fotografo con capacità critica, effettua una selezione della realtà, la interpreta, ne affida la restituzione alla macchina.
Se pensiamo e accettiamo che la foto sia una rappresentazione fedele della realtà mettiamo in crisi il valore dell’artista (non tutti lo sono ma pensiamo di si), questo scarto culturale è già stato fatto da Duchamp con l’invenzione dei ready-made; l’artista diventa autonomo in quanto pensatore.
Non potendo credere che le persone non abbiano una anche minima facoltà di giudizio, ritengo quindi logico dedurre che la realtà rappresentata sia sempre la realtà di qualcuno, sia esso autorevole testimone o uno sconosciuto.
Dopo aver letto l’ultimo intervento di Cristiano, ho avuto la necessità di riprendere “la camera chiara”, in cui Barthes si pone domande analoghe alle nostre, cito quanto dice :

“La Fotografia diventa allora per me un medium bizzarro, una nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo: un’allucinazione in un certo senso temperata, modesta, divisa (da una parte <<non è qui>>, dall’altra <<però ciò è effettivamente stato>>): immagine folle, velata di reale.

Costruire un’immagine, non vuole dire falsificarla, vuol forse dire tagliare, oppure inquadrare un pezzo di reale che noi riteniamo importante; le foto di Capa, rientrano nella discussione sulla veridicità in modo tangenziale solo perché essendo famose e icone si sono prestate a discussioni e verifiche per quasi un secolo.
Io sono felice di pensare che ogni fotografo costruisca mentalmente la propria foto perfetta prima di scattare ( foto che nella restituzione differisce sempre dall’immagine celebrale), altrimenti sarebbe dato spazio solo alla fotografia automatica o casuale.

Saluto tutti con un suggerimento, Panofsky “La prospettiva come forma simbolica” per fare cadere una delle tante certezze che ci hanno accompagnato fin dalla gioventù.

Giovanni
abumail
Messaggio: #75
Ho letto le ultime dopo aver mandato la mia letterina, di cui sopra.
Penso che tutte le posizioni espresse fino ad ora siano condivisibili, ma chiedo a Sergio, come pensi sia possibile che un fotografo solo perché è nel posto giusto al momento giusto, non possa dirsi completamente responsabile della propria foto?
Come si spiegherebbe che a fronte di milioni di fotografi al mondo, solo poche centinaia hanno la capacità di trasmettere significativamente ciò che vedono?
La New York di Wegee è un’altra città da quella ripersa da H.C.B. ma quanti persone fotografano N.Y.?
Penso sia riduttivo dire che essere in certo posto non si possa aggiungere nulla di proprio, si aggiunge sempre qualcosa quando si decide di scattare.

Spero di non essermi intromesso nel forum in modo troppo aggressivo ma vorrei esprimere solo alcune opinioni.
Saluti Giovanni
 
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