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Messaggio: #1
Voglio cominciare con questa prima discussione, a trattare un po' più da vicino le varie problematiche che stanno dietro ad ogni singolo scatto che noi facciamo per ottenere, alla fine, una stampa in b.n., con un'avvertenza: ciò di cui scriverò sono cose che molti conoscono, quindi sto scoprendo niente altro che la famosissima acqua calda ma può essere utile ai tanti altri che invece ne sono all'oscuro. Chiedo quindi scusa a chi queste cose le sa già ma credo che possa comunque essere interessante per chi invece le ignora.

Mi sembra, leggendo il forum giornalmente, che questo sia rimasto forse l'unico argomento che accomuna e fa coesistere, nella fotografia di oggi, le due realtà presenti sul mercato: l'argentica e la digitale.
Visto che di argentico si parla cominciamo così dal principio:
PERCHE' L'ARGENTO? PERCHE' NESSUN ALTRO? Sembra una domanda sciocca ma forse non lo è se solo pensiamo a quanti siano gli elementi in natura e a quante ammonterebbero le loro combinazioni. Arriveremmo in breve a decine e decine di migliaia. In verità i primi materiali sensibili ne erano privi. La prima immagine di cui si ha documento storico è quella di Nicephore Niépce che raffigurava il suo giardino e che fu impressa nel 1826 utilizzando il Bitume di Giudea splamato. Questo, esposto alla luce in una rudimentale camera e poi trattato con lavanda, che ha il potere di asportare le parti non esposte, diede vita all aprima fotografia. La posa fu di 8 (otto) or, da ciò si intuisce che al di là della scoperta sensazionale, questo procedimento non poteva che restare una seppur notevole, curiosità storica. La strada non era percorribile. Fu nel 1839 che Daguerre annuncia che un superfice argentica trattata fino a renderla lucida a specchio e trattata con vapori di iodio, forma un sottilissimo strato di ioduro d'argento che è sensibile alla luce. Grande neo di questo processo è cfhe alla fine si ottiene una lastra unica e non riproducibile. Il processo così introdotto, incuriosì però un'altro studioso del problema: Fox Talbot che, fin dal 1834, stava studiando la sensibilità alla luce dell'argento. Questi pensò di spalmare un composto di nitrato d'argento su carta il tutto veniva poi immerso in soluzione di ioduro di potassio dando così vita ad un composto, lo stesso ioduro d'argento che esposto formava un 'immagine a toni invertiti. Vede la luce così, il calotipo che, trattato per contatto, con carta che ha subito lo stesso procedimento, ha per risultato la foto positiva. E' nato il processo negativo-positivo.
Per non tediare troppo, diciamo che le prime lastre fotografiche su vetro e quindi riproducibili esattamente come oggi, nascono nel 1871 dalla mente di Maddox che fu il primo ad immergere i sali d'argento in gelatina di ossa che veniva poi spalmata. Quasi la stessa che troviamo oggi spalmeta sulle nostre pellicole. Perchè quasi?
Dobbiamo introdurre ora un nuovo concetto: la sensibilità spettrale. Altro non è che la risposta che i sali d'argento hanno quando colpiti dalla luce. Lo spettro della luce come si sa è costituito da radiazioni che viaggiano su lunghezze d'onda diverse e ognuna delle quali individua un colore. Lo spettro visibile dall'occhio umano va da un minimo di 400nm del blu-violetto ai 700nm del rosso con un massimo nel verde con i suoi 550nm.
Il Cloruro d'Argento non va al di là dei 420 mentre il Bromuro sdi ferma intorno ai 480nm. per dirla in breve non arriverebbero oltre il ciano (blu-verde). Come coprire il rimanente spettro e nel caso superarlo? (pellicole IR). Fu per caso che si scoprì che, aggiungendo coloranti, la sensibiltà spettrale, veniva ampliata alle radiazioni del blu con un colorante giallo, a quelle del del verde con uno rosso, al rosso con uno blu e così via. Nascevano così le pellicole pancromatiche. Le stesse che usiamo oggi.

Per ora mi fermo qui, nella prossima discussione, se interessa, parleremo del materiale sensibile e delle sue particolarità.
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Messaggio: #2
In questa seconda parte parleremo della struttura delle moderne pellicole che usiamo nelle riprese in b.n., cercando di spiegare come sono strutturate e le evoluzioni che hanno subito nel corso degli anni.
Come detto, le moderne pellicole sono costituite da un supporto plastico su cui viene stesa l'emulsione sensibile. Emulsione sensibile che, come detto, è costituita da una gelatina animale, in cui vengono precipitati attraverso complessi procedimenti chimici, i sali d'argento.
A differenza di quanto possa sembrare, mutuando una tecnologia applicata alle pellicole a colori, lo strato steso non è uno solo ma tre. Sul supporto infatti, dopo aver steso uno strato antialonico che serve a non far riflettere la luce all'interno dell'emulsione dopo averla attraversata, vengono stesi tre strati di emulsione con sensibilità diverse. La prima è la meno sensibile, questa sarà responsabile nella stampa finale, delle alte luci. Il perchè è presto detto, essendo la più interna e la meno sensibile, sarà quella che verrà meno interessata dalla luce che la colpisce, questo farà sì che nel processo di fissaggio non sarà interessata dalla sua azione andando a formare le parti nere sul negativo. Il secondo strato è mediamente sensibile e corrisponde per grandi linee, alla sensibilità nominale della pellicola, sarà questo responsabile delle luci intermedie, riportandoci quel grigio medio che è tipico di quella sensibilità quando esposto correttamente. Il più esterno è anche il più sensibile, anche oltre due volte la sensibilità nominale e che sarà responsabile delle ombre per il ragionamento inverso che si è appliacato al primo. Questo processo di stratificazione ha avuto come prima conseguenza un notevole allargamento della latitudine di posa ottenibile con un solo strato.
Entrando più nel dettaglio, si comprende che, per avere una sensibilità maggiore, occorre che la struttura del singolo grano d'argento, dovrà avere una maggiore superfice da esporre e quindi una massa maggiore rispetto ad una con sensibilità minore. Questo comporta conseguenze immediate su aspetti importanti ai fini pratici. A pellicole con maggiore sensibilità, corrisponde una grana maggiore. Questo porta con se aspetti secondari ma non meno importanti: una minore acutanza e un minor potere risolvente (di questi due parametri parleremo in seguito).
Il problema è stato superato in maniera brillante da Kodak (seguita subito dopo da Ilford) con l'immissione sul mercato, di pellicole in cui i singoli grani, attraverso particolari e complesse lavorazioni, hanno subito una resezione, per cui, a parità di superfice esposta, la massa è molto minore. La conseguenza più immediata è un netto miglioramento della grana a parità di sensibilità. Queste pellicole identificate con la sigla GT (Grani Tabulari), sono state studiate anche da Ilford che da parte sua ha prodotto un particolare processo di produzione che prevede che questi grani tabulari siano costituiti da un nucleo circondato da gusci concentrici. La particolarità sta nel diverso contenuto di ioduro d'argento che è sempre maggiore via via che si procede verso il guscio più esterno. Lo iodio in forma ionica ha la particolarità di essere un inibitore del processo di sviluppo, quindi man mano che viene liberato durante il trattamento, rallenta la penetrazione del rivelatore verso il guscio-nucleo. La conseguenza è che, più il singolo grano è stato attivato (colpito) dai fotoni, tanto meno sarà facile per lo sviluppo penetrare negli starti più interni ed essere quindi lavato via dal fissaggio, ottenendo così grani residui più o meno grandi, che saranno responsabili delle alte e medie luci. Più l'intensità che li ha colpiti diminuisce più il processo è limitato ottenendo così un'ampia scala tonale.

Nella prossima ci addentreremo nella caratteristiche tipiche dell'emulsione: Granulosità e granularità, sensibilità e sensibilità spettrale, contrasto, acutanza, potere risolvente e latitudine di posa.
Grazie per l'attenzione.
Juka
Messaggio: #3
Buona sera,
grazie per i tanti chiarimenti ed insegnamenti smile.gif

una curiosita'

penso di aver capito che l'emissione di iodio si completa sempre nella prima fase.

ci sono sistemi automatici che sincronizzano quest'attimo
per completare la rilevazione ?

luca

Messaggio modificato da Juka il Mar 1 2006, 02:27 PM
Utente cancellato
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Messaggio: #4
QUOTE(Juka @ Mar 1 2006, 02:24 PM)
........................................................
penso di aver capito che l'emissione di iodio si completa sempre nella prima fase.

ci sono sistemi automatici che sincronizzano quest'attimo
per completare la rilevazione ?

luca
*



L'emissione di iodio può avvenire solo nel primo, o dal primo e dal secondo, o da tutti e tre a secondo della quantità di luce con cui viene colpito il singolo cristallo. E' questa la sola variabile che permette al rivelatore di arrivare sempre più a fondo passando la barriera che lo iodio forma ad ogni guscio.
A nulla servirebbe, in questo caso, aumentare il bagno di rivelazione. Come già detto, se i fotoni che hanno eccitato lo ioduro d'argento non sono sufficenti, l'azione dello sviluppo si fermerà, a seconda di questa quantità sempre più in superfice. Ovviamente una maggior durata dell'immersione può avere effetti secondari sul guscio sottostante ma in maniera limitatissima.
Utente cancellato
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Messaggio: #5
Passiamo ora ad identificare quelle caratteristiche che sono proprie di ogni pellicola e che la rendono unica e adatta, secondo i gusti di ognuno, a riprendere i nostri futuri soggetti. Partiamo con le prime due:

GRANULOSITA'
La prima e più appariscente caratteristica delle pellicole è la "granulosità". Questo parametro riguarda l'aspetto visivo della grana che possiamo aprrezzare, o meno, su una stampa o su una dia proiettata. Ovvio dire che quanto più questa è fine, tanto più alta sarà la sua capacità di restituire dettagli, visto che questi saranno tanto più apprezzabili, quanto più l'agglomerato di sali d'argento sarà piccolo.
Nonostante in passato si sia cercato di codificare questo parametro, non si è riusciti ad arrivare ad un accordo internazionale, dati anche i progressi intrinseci che le pellicole hanno avuto in questo campo. Ci si è fermati quindi ad esprimerlo con aggettivi proposti da Kodak e che sono: microfine, estremamente fine, molto fine, fine, media, mediamente grossa, grossa, molto grossa. Come si vede, molto è stato lasciato all'interpretazione che ognuno dà ai termini.

GRANULARITA'
La granularità è invece un parametro oggettivo e perfettamente misurabile: la misura si effettua con una microsonda sensitometrica che, fatta scorrere sul negativo, misura le zone in cui sono presenti granuli e la loro grandezza fisica, e dove invece non sono presenti. Attraverso complessi calcoli che vi (e mi biggrin.gif ) risparmio, produce un numero. Questo numero, che ha preso il nome RMS, esprime quindi una quantità verificabile e più è piccolo, maggiore sarà il potere risolvente della pellicola. Detto per sommi capi, esprime la misura media della grandezza e della distanza di ogni singolo granulo. Il numero RMS è nella realtà molto piccolo come si è detto e corrisponde ad esempio a 0,007 quindi per comodità, si è deciso di esprimerlo come numero intero e quindi si leggerà 7. Si va da grandezze dell'ordine appunto di 7 per la Technical Pan 2415, per arrivare a 33 della vecchia Kodak Recording.
C'è da mettere d'altro canto, sul piatto della bilancia un aspetto importante. Una stampa proveniente da una determinata pellicola "deve" mostrare la grana propria di quella pellicola, in caso contrario si deve arrivare alla conclusione che il processo di sviluppo è stato sbagliato in qualche passaggio.
Per questo non capisco quando leggo su queste pagine (ma non solo) abbinamenti a dir poco fantasiosi tra una pellicola a grana medio-grossa, con rivelatori finegranulanti. Questi possiedono all'interno, un solvente deputato a sciogliere gli agglomerati che si formano ma insieme a questi, portano via anche il dettaglio e di conseguenza riducono la definizione.

Per finire bisogna mettere in evidenza che la granulosità può venir influenzata, sulla stampa finale, dal contrasto della carta, dalla qualità dell'ottica da ingrandimento e anche e soprattutto dal sistema di illuminazione adottato dall'ingranditore. Che sia a luce diffusa o a condensatore o puntiforme, la granulosità sarà via via più visibile passando dall'uno all'altro, rispettivamente.

Alla prossima.
Giallo
Messaggio: #6
Grazie Claudio, come al solito competente e sintetico.
Io devo confessarti di non aver mai capito (non dalla tua trattazione, ma anche su articoli letti in passato) la reale differenza concettuale tra granulosità e granularità.

Ossia, se la differenza consiste solo nel metodo adottato per misurarle (che nella prima in pratica è spannometrico a sensazione, mentre nella seconda è oggettivamente rilevabile) di può asserire che - in sostanza - indicano la stessa cosa?

Voglio dire, mi pare che sia improbabile che una pellicola "a grana microfine" abbia poi un indice di granularità elevato, o viceversa.

Oppure ho detto una fesseria?

smile.gif
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Messaggio: #7
QUOTE(Giallo @ Mar 3 2006, 03:03 PM)
Ossia, se la differenza consiste solo nel metodo adottato per misurarle (che nella prima in pratica è spannometrico a sensazione, mentre nella seconda è oggettivamente rilevabile) di può asserire che - in sostanza - indicano la stessa cosa?


La reale differenza è che la prima è data dalla sensazione visiva che si ha sul prodotto finito, che sia stampa o dia proiettata su telo, per questo opinabile. La seconda è una misurazione reale della grandezza del grano di sale e della distanza tra i grani sul negativo.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #8
Il contrasto di una pellicola può essere definito come il rapporto tra i valori tonali fra zone chiere e zone scure che essa restituisce in presenza di un soggetto.
E' intuitivo che questo rapporto può essere riferito ad almeno tre diversi stadi. Il primo, sul quale non possiamo intervenire, è il contrasto del soggetto che abbiamo davanti. Per meglio dire, non potremmo farlo se non attraverso artifici, alcuni possibili già in fase di ripresa, aspettando cioè condizioni di illuminazione diverse o attraverso l'uso di filtri di contrasto (filtri colorati).
Sugli altri due invece potremo intervenire direttamente, cioè sul contrasto del negativo e sul contrasto dell'immagine stampata.
Ma andiamo con ordine e, per farlo, dobbiamo introdurre un nuovo concetto che è quello del Campo di Luminanza del Soggetto (CLS). Che cos'è il CLS? E' il rapporto, espresso in stop, tra le zone più chiare e quelle più scure della scena inquadrata. Questo rapporto ci dà immediatamente la misura "numerica" del contrasto della scena. A rapporto più alto corrisponderà un contrasto più alto e questo dipende dalla luce presente sulla scena. Facciamo due esempi esplicativi: 1) Se noi ci troviamo davanti ad un paesaggio illuminato da un bel sole e andiamo a misurare le zone di luce massima e le zone di ombra massima, troveremmo questo rapporto molto più alto di quanto non lo sarebbe stato se avessimo misurato quelle stesse zone in una giornata nuvolosa. 2) Se in studio facessimo un ritratto utilizzando una sola luce, il CLS sarà molto più alto e diverso da quello che otterremmo se solo utilizzassimo anche un solo pannello riflettente. Questo rapporto che ci viene dal CLS non è fine a se stesso ma ha implicazioni pratiche sulle nostre scelte che faremo sulle tre variabili che sono in nostra mano e sotto il nostro controllo: la scelta della pellicola, l'esposizione, e il trattamento. Dal variare di questi tre elementi, dipenderà il contrasto finale del soggetto sul negativo.
La pellicola generalmente, è tanto più contrastata quanto più basso è il suo valore ISO mentre con ISO elevati sarà generalmente più morbida. Questo dovrebbe indurre, a differenza di quanto normalmente si crede e si fa, ad usare pellicole più sensibili in presenza di un CLS elevato e il contrario quando è basso. wink.gif
L'esposizione, che tratteremo a parte, è altrettanto importante ai fini del contrasto. (Sistema Zonale)
Ultimo, ma non in ordine d'importanza, è il trattamento del negativo. In questo contesto noi possiamo intervenire in modi diversi: 1) A parità di rivelatore: aumentando il tempo di immersione, aumentando la temperatura, aumentando l'agitazione. A parte la prima, ognuna di queste prese da sole o contemporaneamente, portano ad un aumento del contrasto ma con un effetto collaterale sulla granulosità che diverrà più evidente. In qualche caso questo effetto è ricercato. 2) Utilizzando rivelatori a questo preposti.

Tutto quanto detto sull'azione che possiamo portare sul negativo, potremo riportarlo anche nel trattamento della stampa, a partire dai filtri di contrasto.
Utente cancellato
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Messaggio: #9
I parametri, che sono forse i meno conosciuti e considerati e che sono invece quelli che più influenzano il giudizio tecnico di chi guarda una stampa finita sono il Potere Risovente e l'Acutanza. Da essi infatti dipende la capacità della pellicola b.n., di mostrare i dettagli fini e di separare i toni.
Il Potere Risolvente (PR) è in pratica la misura del numero di coppie di linee/mm che la pellicola è in grado di separare fotografando speciali mire ottiche. Queste, altro non sono che dei grandi fogli bianchi su cui sono tracciate alternativamente righe bianche e nere poste in posizione orizzontale, verticale e anche obliqua e sono raggruppate in ragione della dimensione. Sono le stesse mire utilizzate per calcolare il PR degli obiettivi, in questo caso usate per calcolare quello delle pellicole e fotografate attraverso obiettivi ad altissima risoluzione da una distanza fissata. Bisogna tener sempre presente che il PR di una pellicola non è fisso. A differenza di quello degli obiettivi, varia al variare delle condizioni di trattamento dal quale dipende completamente. Proprio per questo il PR viene espresso sempre come accoppiata pellicola/rivelatore e da questo si comprende quanto sia importante la scelta di quest'ultimo.


Prima di introdurre il concetto di Acutanza è doveroso spiegare, almeno per sommi capi, un fenomeno fisico importante e dal quale dipende proprio l'acutanza.
Un raggio di luce incidente sulla pellicola, colpendo un granulo d'argento, oltre a penetrarlo, viene in parte deviato per riflessione e andrà ad interessare il granulo vicino. E' facile intuire che più il granulo ha massa maggiore (pellicole sensibili), più avrà il potere di riflettere; minore sarà la sua massa (pellicole poco sensibili) minore sarà il suo potere di riflessione.
Immaginiamo ora di coprire parte del fotogramma con una lama a bordo taglienete prima dell'esposizione. Una volta esposto e sviluppato, dovremmo aspettarci un fotogramma diviso esattamente a metà, in cui la parte non esposta sia completamente nera. Se andassimo però a guardare al microscopio la parte interessata dalla separazione, ci accorgeremmo che questo stacco non è così netto come ci saremmo aspettati ma va degradando per un certo spazio all'interno della parte coperta proprio perchè i granuli coperti vicino al bordo sono stati interessati da quel fenomeno di riflessione di cui abbiamo parlato prima.
Traducendo questo in valori numerici e trasferitili a formare una curva, possiamo affermare che l'acutanza è il valore della pendenza della curva di annerimento fra le due zone. Per questo viene anche detto in termine tecnico "Gradiente di bordo". Più questo gradiente (acutanza) è ripido, maggiore sarà lo stacco fra zone chiere e zone scure.
Trasportato questo concetto nella pratica, possiamo senz'altro affermare che l'acutanza è responsabile, più di ogni altro, della sensazione di nitidezza della foto perchè da essa dipende la "secchezza" del tratto. Possiamo inoltre affermare che la nitidezza apparente è dovuta più all'acutanza che al PR e che a parità di PR una foto con maggior acutanza ridarà una sensazione di nitidezza maggiore.
Vedremo in seguito il modo per migliorarla in fase di trattamento.
rferrari27
Messaggio: #10
Ciao a tutti,
mi affaccio su questo scenario per la seconda volta anche se è un po di tempo
che leggo, seguo, imparo ... in silenzio.

Grazie Claudio per la bella ed esauriente trattazione che colma varie lacune.
Di seguito riporto tre domande che mi sono fatto leggendo l'intervento, da cui, forse,
si capisce che non ho capito!
In ogni caso ringrazio in anticipo per le eventuali risposte.

> La pellicola generalmente, è tanto più contrastata quanto più basso è il suo valore ISO
> mentre con ISO elevati sarà generalmente più morbida.
> Questo dovrebbe indurre, a differenza di quanto normalmente si crede e si fa,
> ad usare pellicole più sensibili in presenza di un CLS elevato e il contrario quando è basso.

1. Non ho capito questo concetto: ragionando per assurdo, se devo fare una foto in pieno sole,
per ottenere un risultato più morbido (meno contrastato) devo usare una pellicola da 3200 ISO?


> Il numero RMS è nella realtà molto piccolo come si è detto e corrisponde ad esempio a 0,007
> quindi per comodità, si è deciso di esprimerlo come numero intero e quindi si leggerà 7.
> Si va da grandezze dell'ordine appunto di 7 per la Technical Pan 2415, per arrivare a 33
> della vecchia Kodak Recording.

1. Cosa vuol dire "RMS"?
2. Esprimendo l'RMS come intero sottointende che il suo vero valore è sempre 1/1000 di
quanto indicato?
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #11
.....................................

1. Non ho capito questo concetto: ragionando per assurdo, se devo fare una foto in pieno sole,
per ottenere un risultato più morbido (meno contrastato) devo usare una pellicola da 3200 ISO?

Hai capito perfettamente. Per far sì che il contrasto evidente della scena inquadrata possa essere riportato già in fase di scelta della pellicola ad ottenere una più ampia scala tonale, è conveniente e altamente consigliabile scegliere quella ad ISO più elevati proprio perchè meno dotata di contrasto di una a bassi ISO. Senza arrivare ad eccessi, posso dirti che oggi pellicole di 400-800 ISO hanno una grana molto molto ridotta e per contro restituiscono una scala tonale molto più estesa e che ti permetterà di avere dettagli molto maggiori sia nelle alte che nelle basse luci rispetto a quelle a bassa sensibilià.


1. Cosa vuol dire "RMS"?
Letteralmente sigifica: "il giusto modo per regolare questo fondamento"

2. Esprimendo l'RMS come intero sottointende che il suo vero valore è sempre 1/1000 di
quanto indicato?

Esattamente.
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #12
Prendendo spunto dalle giuste domande di Ferrari vorrei soffermarmi un attimo su un'altra caratteristica delle pellicole: LA LATITUDINE DI POSA ( LDP).

Possiamo definirla come la capacità della pellicola di registrare l'intero CLS (di cui abbiamo già parlato) e trasportarlo dalla scena alla pellicola. Anche questo valore possiamo esprimerlo quindi in stop, per cui se diciamo che una pellicola ha una LDP di 6 stop, vogliamo semplicemente significare che la pellicola è in grado di registrare uno scarto tra le ombre, in cui sia ancora possibile distinguiere dei dettagli e le luci, in cui sia ancora possibile distinguere dei dettagli, è di 6 stop.
C'è da dire che anche la LDP dipende oltre che dal materiale usato, anche dal trattamento cui questo è sottoposto. Se per esempio usassimo una pellicola a sensibilità medio-alta, per cui dotata di una notevole LDP ma la sottoponessimo ad un trattamento prolungato di immersione nel rivelatore, o ad una agitazione troppo frequente o addirittura ad una temperatura più alta, avremmo come effetto una compressione, in taluni casi anche notevole della LDP_
rferrari27
Messaggio: #13
Grazie per la risposta Claudio.

I concetti da te esposti si applicano pari pari alle pellicole a colori?
(ad eccezione della differente struttura fisica della pellicola)

Riassumendo:
* Pellicole <= 100 ISO: molto contrastate, bassa granularità (RMS), LDP minima
* Pellicole > 100 ISO: poco contrastate, maggiore granularità (RMS), LDP alta

Quindi per le foto di paesaggio uso pellicole <= 100 Iso solo ad inizio e fine
giornata, così ho una luce più morbida e una grana più fine (LDP minore).
Oppure in condizioni di estesa nuvolosità.

Al centro della giornata in condizioni di forte luminosità posso usare una
pellicola > 100 Iso (LDP maggiore) montando sull'obiettivo un filtro
NDx2 o x4 per poter usare diaframmi più aperti. Corretto???

Per le foto sulla neve, col sole, uso quindi pellicole > 100 Iso, con filtro
ND come sopra. Corretto???

Ti è possibile, per favore, indicare la LDP delle principali pellicole di solito
menzionate nel forum, o fornire un indizio di dove si può trovare tale
informazione???
Grazie bis
rf
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #14
Mi fa piacere, leggendo le tue considerazioni, accorgermi di essermi spiegato a sufficenza. Tutto quello che hai detto è esatto. wink.gif

QUOTE
Ti è possibile, per favore, indicare la LDP delle principali pellicole di solito
menzionate nel forum, o fornire un indizio di dove si può trovare tale
informazione???

Purtroppo sono dati che non conosco e che non ho neanche trovato fra i miei appunti. Ilford non dichiara neanche valori RMS, acutanza e potere risolvente, così come Fuji, almeno per le pellicole b.n.. Al contrario Kodak e (quando c'era) anche Agfa, erano solite fornirli.
D'altro canto, come si è detto, tali parametri sono variabili in funzione del trattamento cui sono sottoposte le pellicole. Avrebbe senso, e forse lo ha, per un trattamento standard dichiarato.
Rita PhotoAR
Messaggio: #15
Grazie per le spiegazioni utilissime per capire ed usare al meglio le pellicole...ma mi balena sempre il desiderio di sapere,in base alle esperienze personali,come "trattare le pellicole",ovvero,qualche dritta sullo sviluppo in tank wink.gif partendo sempre dallo scatto originario;mi spiego:
se faccio una sessione di ritratto con una luce controllata,ad esempio,scelgo la tal pellicola,il tal rivelatore e un agitazione in base al tipo di pellicola,rivelatore e risultato da ottenere. Poi scelgo la carta,i liquidi e il grado di contrasto tenendo conto del processo precedente volto a generare un negativo "perfetto" o perlomeno "personalizzato". So che chiedo troppo,ma tra una chiacchera e l'altra prima o poi ci arriveremo a scambiare considerazioni ed esperienze dell'intero processo BN dallo scatto alla stampa finale smile.gif
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #16
QUOTE([giada] @ Mar 7 2006, 09:20 PM)
....................................................
se faccio una sessione di ritratto con una luce controllata,ad esempio,scelgo la tal pellicola,il tal rivelatore e un agitazione in base al tipo di pellicola,rivelatore e risultato da ottenere. Poi scelgo la carta,i liquidi e il grado di contrasto tenendo conto del processo precedente volto a generare un negativo "perfetto" o perlomeno "personalizzato". So che chiedo troppo,ma tra una chiacchera e l'altra prima o poi ci arriveremo a scambiare considerazioni ed esperienze dell'intero processo BN dallo scatto alla stampa finale  smile.gif
*



Infatti ci arriveremo Giada, anzi attraverso le quattro chiacchiere e le esperienze che ognuno vorrà apportare e che spero siano molte, si cercherà di metterle a disposizione di tutti, magari in un apposito spazio. Arrivare al negativo "perfetto" non è difficile anzi, nel panorama variegato degli sviluppi è l'unica cosa che può essere considerata un punto fermo. Le case costruttrici di rivelatori mettono a disposizione tempi e diluizioni che pemettono le soluzioni migliori per quel negativo. Saremo noi a doverne provare più di uno per capire quello che più soddisfa. Diverso è l'ottenere un negativo "personalizzato". Qui le varianti sono molteplici sia in fatto di scelta del rivelatore che di metodo di lavoro in tank per il risultato che ci siamo prefissati. Personalmente non amo intervenire sulla temperatura quanto più sul tempo di immersione o nell'agitazione (più o meno frequente). In linea di principio e con le dovute eccezioni, preferisco comunque avere a disposizione un negativo che mi restituisca la più ampia scala tonale e che comunque potrò "lavorare" in fase di stampa, contraendola, quando necessario. A meno di esigenze particolari, ho imparato che su un negativo ben fatto si può sempre intervenire; uno "personalizzato" potrà restituire solo quello che è visibile e non sempre c'è tutto quello che vorremmo in un secondo tempo o cercando un'altra interpretazione.
sfinge
Messaggio: #17
ciao Claudio.
( cancella il post poi biggrin.gif )
mi stavo chiedendo : anni fa sviluppavo e stampavo , poi il tempo da dedicare a questo " hobby " è cominciato purtroppo a diminuire tanto che gli ultimi scatti li facevo con la xp1 ( poi xp2 ) ho cercato nel forum qualche info su esperienze e utilizzo di questa pellicola ma niente ( magari mi è sfuggito qualcosa )
Il fatto è che sto riscoprendo il piacere di scattare coi i mie vecchi grandangolari che sul digitale non risultano tali quindi fino a quando non mi deciderò a prenderne uno per la nuova tecnologia....
Il tempo per la mia passione si è ulteriormente ridotto quindi pensavo di usare questa pellicola ( magari non la fanno più ) come base da trattare con scanner oggi , senza precludermi un domani una stampa da ingranditore.
.... che dici ?

Luca
Eliantos
Messaggio: #18
QUOTE(__Claudio__ @ Mar 5 2006, 04:37 PM)
Ho pensato che un'unica discussione possa essere seguita in modo più organico da chi interessato.
*



Mi stavo infatti chiedendo dove fossero finite le altre discussioni aperte nei giorni scorsi.
Trovo molto interessante l'argomento di questa discussione, che forse meriterebbe di stare in evidenza (almeno per un po').
Utente cancellato
DEREGISTRATO
Messaggio: #19
QUOTE(sfinge @ Mar 8 2006, 01:07 PM)
ciao Claudio.
( cancella il post poi  biggrin.gif  )
mi stavo chiedendo : anni fa sviluppavo e stampavo , poi il tempo da dedicare a questo " hobby " è cominciato purtroppo a diminuire tanto che gli ultimi scatti li facevo con la xp1 ( poi xp2 ) ho cercato nel forum qualche info su esperienze e utilizzo di questa pellicola ma niente ( magari mi è sfuggito qualcosa )
Il fatto è che sto riscoprendo il piacere di scattare coi i mie vecchi grandangolari che sul digitale non risultano tali quindi fino a quando non mi deciderò a prenderne uno per la nuova tecnologia....
Il tempo per la mia passione si è ulteriormente ridotto quindi pensavo di usare questa pellicola ( magari non la fanno più ) come base da trattare con scanner oggi , senza precludermi un domani una stampa da ingranditore.
.... che dici ?

Luca
*


Credo che la miglior pellicola da passare allo scanner oggi sia la T-Max della Kodak, dato il suo supporto e la tenologia con cui è costruita. E' quella usata da grandi reporter, in primis Salgado, credo proprio per questa sua eccellenza una volta passata allo scanner. Per l'uso con l'ingranditore a me personalmente non piace vista la sua endemica incapacità di non sparare sulle alte luci, peculiarità ancor più messa il evidenza dall'uso di ingranditori dotati di condensatore che sono di gran lunga i più diffusi fra gli amatori (anche se una scppatoia c'è wink.gif ) oltre che per una certa tendenza al grigio (parere personale).
Ho usato in passato (remoto biggrin.gif ) la XP-1 che veniva venduta allora in accoppiata col suo rivelatore dedicato da sviluppare a 40° ohmy.gif , poi venne la XP-2 che ho subito abbandonato però in favore di pellicole più tradizionali che reputo per il b.n. migliori sotto tutti i punti di vista. Questa la mia esperienza ovviamente confutabile.
sfinge
Messaggio: #20
Grazie Claudio.
... magari qualche utente la usa e mi sa dare qualche info...

Luca
Rita PhotoAR
Messaggio: #21
Grazie Claudio!! Anch'io concordo che il negativo perfetto sia quello che restituisce la più ampia scala dei grigi smile.gif ma siccome ogni pellicola reagisce in modo suo ad un tale rivelatore e ad una tale agitazione sarebbe interessante confrontare le varie esperienze in merito ... e ci arriveremo!!! Pollice.gif Pollice.gif Pollice.gif

Per il BN da processare con il C41 non sono proprio entusiasta....il "vero" negativo è quello BN puro dove processandolo a dovere riesci a ricavare la giusta scala dai neri puri ai bianchi mentre il C41,pur con tutte le dovute precauzioni in stampa risulta sempre "piatto". Ve bene per il fotogiornalista che riprende la manifestazione o l'incidente di turno...ma per noi è da scartare smile.gif
Hannibal
Messaggio: #22
Grazie,
che bello che c'e' chi ancora vuole, come me , andare avanti con la pellicola.
Annibale
 
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