Intervista

A cura di: Giulia Landucci

Visioni di insieme, chiare, senza ombre

Massimo Vitali

Lucca centro. Le grandi finestre quasi appoggiate alle mura storiche che circondano la città regalano un punto di vista inedito per osservarle. Seduto nel suo studio, Massimo Vitali racconta, vive, respira la fotografia. Da artista appassionato, ne rispetta la storia e cerca di comprenderne i cambiamenti. Un’intervista che è più che altro un dialogo, un’occasione per imparare e conoscere i numerosi aspetti che sono parte del processo di creazione di una fotografia, intesa non solo come immagine ma come strumento per veicolare significati.


Cefalù Orange Yellow Blue, 2008 © Massimo Vitali

 

Nella tua biografia si legge la definizione “concerned photographer”, cosa significa per te e come lo sei diventato?

Sì, questa è una vecchia cosa, ormai io sono “concerned”, traduciamolo in “preoccupato”, e sono preoccupato per tante cose che riguardano la fotografia e il mondo della fotografia. Una volta “concerned photographer” poteva essere tradotto come “fotografo impegnato”. In effetti, sono sempre stato impegnato, talmente tanto che poi ho deciso che era meglio lasciare il reportage e dedicarmi a dei progetti più impegnativi ma meno impegnati, sempre per modo di dire, giocando sulle parole. Siamo in un momento di cambiamenti, non solo epocali ma di una tale rapidità che uno non può utilizzare il metodo che si utilizzava due settimane fa, l’anno scorso, dieci anni fa o cinquant’anni fa. Oggi la fotografia la devi inventare ogni giorno. Non so l’ultima volta che qualcuno ha visto delle foto stampate su un pezzo di carta. Ormai nessun fotoamatore, utilizzatore di fotografie, utilizza la carta come supporto, che va anche bene per la salute delle foreste del mondo, ma fino a pochi anni fa la carta era l’unico supporto su cui si vedevano le foto. Oggi, ogni giorno, si fanno tante foto quante ne sono state fatte nei primi cento anni nella storia della fotografia. Di fronte a questi fatti, l’unica cosa possibile è quella di trovare una via veramente personale, propria, e non tanto di rapporto con la realtà, quanto di rapporto con l’arte, la storia dell’arte, la fotografia e la storia della fotografia.


Sacred Russian Pool, 2009 © Massimo Vitali

 

Probabilmente questa necessità di cambiare e rinnovarsi l’avevi già intuita all’inizio degli anni 80, quando - come si legge ancora nella tua biografia - dopo un inizio nel reportage ti sei dedicato alla fotografia come strumento di ricerca artistica.

Sì, in realtà non avevo ancora capito dove si stava andando. Sapevo che qualcosa era cambiato in maniera sostanziale, epocale, che c’erano dei cambiamenti in atto. La mia carriera è iniziata dal reportage, poi passata al cinema e nel momento in cui sono ritornato alla fotografia mi sono accorto che qualcosa era fondamentalmente cambiato quando una serie di gallerie di arte contemporanea mi chiedevano di vedere il materiale che stavo facendo, ed è una cosa che non avevo preso in considerazione nella mia vita. Era un segno che le cose stavano cambiando, ed è un momento che non si ripeterà mai più. Se un fotografo si avvicina oggi a una galleria di arte contemporanea, sparano con il fucile a pallettoni perché ormai vogliono avere i loro artisti e non occuparsi di quelli che vorrebbero cominciare. Oggi la situazione, che cambia, che è cambiata, che continua a evolversi, manca del rapporto con il mercato, che ormai è stato conquistato dai “portabandiera”, i fotografi super quotati, sono come quelli che vanno sull’Everest e piantano la loro bandiera e non c’è verso per tutti quelli che arrivano dopo con il fiatone, la bandiera è già piantata e arrivederci, c’è poco da fare. Per problemi di mercato le gallerie preferiscono vendere le foto da 800 mila dollari, piuttosto che quelle da 800, perché altrimenti non stanno in piedi. Questo è dato dal fatto che i costi per le gallerie sono sempre più elevati, anche se in effetti la gente compra le fotografie. I collezionisti di foto esistono.


Sarakiniko, 2011 © Massimo Vitali

 

Quindi come ti rapporti con le gallerie, il mercato?

Il mio rapporto con le gallerie non è semplicissimo, a volte vedo che le gallerie ansimano, perché i miei pezzi non hanno margini che consentono grandi guadagni. Sono molto scettico, faccio il mio lavoro e cerco di farlo al meglio. Però siamo in un momento in cui dobbiamo essere consapevoli di quelli che sono le leggi e i bisogni del mercato, anche se io faccio le foto che voglio, non quelle che il mercato vorrebbe che facessi, di questo sono assolutamente consapevole. Se avessi cominciato facendo delle foto 30x40, probabilmente non avrei avuto lo stesso risultato che ho ottenuto, perché le foto grandi sono un sostituto di un’opera d’arte, di un dipinto, danno un’impressione diversa. Ovviamente non vendo delle immagini, ma degli oggetti che hanno una certa misura, un certo peso, sono difficili da trasportare e il fatto che lo siano li rende ancora più preziosi. In questi giorni una galleria mi ha detto che ha un problema perché la foto non passa dalle scale e devono prendere una gru. Ecco questo per me è un’ottima cosa, per il gallerista un po’ meno, perché deve pagare la gru, ma per me è ottima. In riferimento al mercato un’altra cosa che il marketing offre è la riconoscibilità della foto. Non ho fatto le foto delle spiagge per questo motivo, ma una volta fatte ho deciso, dato che nessuno all’epoca faceva quel genere di foto, che sarebbe stato un mio plus quello di essere riconosciuto come quello che “fa foto delle spiagge”.


Spargi Cala Corsara, 2013 © Massimo Vitali

 

In relazione a questo come definisci la tua fotografia? Quali soggetti-luoghi ritrai? Che cosa ti interessa?

I soggetti, luoghi contano poco. La partenza deve essere per tutti un soggetto che sia riconoscibile e un po’ originale. Quello che mi interessa fotograficamente è per prima cosa la fotografia, sembra incredibile, ma è cosi.  Poi l’umanità in generale. E, in ultimo, i rapporti tra le fotografia e l’umanità. Ho sempre studiato la storia dell’arte e della fotografia e ho deciso di tracciare un mio percorso, vedendo quello che è stato fatto e quello che non è stato fatto, e prendendo da quelli che hanno fatto un percorso interessante quello che mi serviva. La fotografia, come dico sempre, è nata per copiare. Prima delle fotocopiatrici, c’erano le fotografie, ed è per questo che se qualcuno copia le mie fotografie io in realtà sono contento. Dall’altra parte penso che oggi la cosa meno interessante sia la “bella fotografia”, forse le mie foto sono anche “troppo belle” per come le vorrei io. Infatti alcuni mi hanno criticato, nel senso che alla fine nonostante ci siano degli errori voluti di inquadratura, di luci, un po’ banali, sono comunque un appassionato, nasco come fotografo, mi piace la tecnica, e alla fine qualche carineria nella mia foto la metto sempre, e questo è un problema. Probabilmente mi costa anche in termini di posizionamento. Però io che ci posso fare, le faccio cosi.


Gulpiyuri, 2011 © Massimo Vitali

 

Quanta importanza dai alla forma, quindi, nella tua poetica?

Non do assolutamente importanza al modo in cui compongo le immagini e a quello che succede ai bordi della fotografia, alla composizione, la luce. Tutti mi chiedono quando scatto le mie foto. Io le faccio all’una e mezzo di pomeriggio, perché non ci sono le ombre. Tutto il contrario di quello che farebbe un fotografo di “belle fotografie”. Questo per quelli che sono più attenti all’atto pittorialista della fotografia è una bestemmia. Dall’altra parte credo sarebbe ora di liberarci dalla schiavitù del pittorialismo, che ha avuto inizio quando la fotografia voleva guadagnarsi i galloni rispetto alla pittura ottocentesca e l’unico modo che aveva per farlo era quello di riprodurre come poteva gli stilemi di un certo stile pittorico, creando un connubio infernale che ha messo insieme la pessima pittura con la cosiddetta “bella fotografia”.


Catania Under the Volcano from the series Sicily Primo, 2007 © Massimo Vitali

 

Da tutto questo scaturisce anche un modo di utilizzare il colore all’interno delle tue fotografie. Cos’è per te il colore e come lo utilizzi?

Ormai il colore si può utilizzare come si vuole. Io ho cominciato con la foto tradizionale, con la pellicola, ho acquisito tecnica, so cosa voglio e so anche che cosa voglio fare oggi che solo parzialmente la uso. Mi risulta molto difficile capire tanti giovani che hanno cominciato a fotografare con le macchine digitali. Noi “pellicolai” abbiamo di base un rapporto con il colore che è stato stabilito dagli ingegneri del signor Eastman a Rochester che crearono con la pellicola Kodak un filtro tra la natura e la fotografia. Oggi quelli che usano le macchine digitali hanno questo filtro creato alla Canon per chi usa la Canon, alla Nikon per chi usa la Nikon, però bisogna stare attenti che, come lo sapevo io con la pellicola, anche loro devono sapere che le foto che fanno non sono la realtà, sono un’interpretazione della realtà fornita da Canon, da Nikon o da Sony. Oggi però c’è la possibilità di acquisizione in raw, la fotografia è vera, l’immagine è grigiastra, e dà la possibilità di mettere i colori, di stabilire un rapporto. Nel cinema questo era già avvenuto ma per la prima volta nella storia della fotografia digitale la gente si confronta veramente con il problema del colore. Bisogna cominciare a ragionare sul colore e a fare delle scelte e solo oggi si sta cominciando a farlo. Questo è il futuro della fotografia.


Installazione galleria "Studio la Città", Verona 2011 © Massimo Vitali
 

 

Rimanendo in ambito tecnico, come scatti le tue fotografie? Prediligi delle lenti in particolare?

Sono partito dalle macchine fotografiche di grande formato perché faccio delle foto di grande formato. È un po’ come la storia del pennello, per fare un grande lavoro ci vuole un grande pennello. Per fare delle foto grandi ho bisogno di macchine fotografiche grandi perché mi danno più definizione, mi permettono di vedere la foto come un totale e allo stesso tempo di avvicinarmi e vedere i ritratti di ogni persona che è sulla foto. Non solo nell’analogico ma anche nel digitale uso il dorso più grosso che c’è in commercio oggi, perché fa parte del mio modo di fotografare, avere il massimo del dettaglio possibile. Usando delle macchine fotografiche di grande formato è importante poter avere la maggior parte delle cose bene a fuoco e per fare questo io devo alzarmi, per avere una specie di punto di vista semi-panoramico, a metà tra il punto di vista del paesaggio e quello del ritratto stradale. Sono sui 5 metri, posso essere relativamente vicino alla gente che è vicina e posso abbracciare degli spazi notevoli. Ho la possibilità di fare la foto che voglio fare io, foto che si occupano della nostra società, di noi, di come ci rapportiamo gli uni con gli altri. La posizione da cui fotografo, sempre un po’ lontana e sempre un po’ elevata, ha un suo perché, non è casuale. Tanti fotografi a partire dagli anni Ottanta fino ad oggi lavorano su un soggetto un po’ distante, non sono l’unico, ed è una delle cose accettate e più interessanti della fotografia contemporanea.


Installazione galleria "Studio la Città", Verona 2011 © Massimo Vitali
 

 

Questo caratterizza anche il modo in cui entri in contatto con i soggetti immersi nella realtà che fotografi?

Sì, ora io entro e non entro in contatto. Io sono lontano ma ovviamente seguo quello che succede nelle mie foto. La mia posizione rialzata mi permette di essere “geograficamente” in alto ma di essere anche a contatto. Se fossi con una macchina fotografica in una grande spiaggia vedrei solo le prime venti persone che ho davanti, ed è importante invece avere una visione di insieme e nella visione d’insieme avere la possibilità di vedere tutti i piccoli rapporti, le piccole storie che nascono in una situazione pubblica. Ora uno dice: perché la spiaggia? Perché per me è il luogo più facile, dove io posso fare le mie piccole ricerche. Bisogna anche essere sinceri, è molto più facile fotografare in quella situazione, perché la gente è più passiva, passa del tempo sulla spiaggia, poi si muove, poi mangia, beve, i bambini scappano, quello legge, quell’altro si guarda attorno, c’è una vita facilmente controllabile sulla spiaggia.


Porto Miggiano, 2011 © Massimo Vitali

 

Si può dire che si tratta di una fotografia che in qualche modo rimane legata al mondo del reportage, o comunque di testimonianza?

Certamente, ma si tratta di una testimonianza diversa perché prende spunto da una fotografia oggettiva, da coloro che dall’inizio della storia della fotografia fino ad ora, obbligati da macchine fotografiche voluminose, erano costretti a distillare un po’ i loro soggetti, non potendo fotografare qualsiasi cosa. La foto era pensata, studiata, un po’ distante per non avere problemi di messa a fuoco. Una fotografia più neutra, un po’ come quella delle cartoline, non a caso alcuni dicono che io faccio delle cartoline sovraesposte. È vero, faccio delle cartoline, ma non sono sovraesposte, le stampo chiare. L’esposizione dei miei negativi è sempre corretta, poi decido di stamparle chiare.


Lençois Laguna do Peixe, 2012 © Massimo Vitali

 

Chi è

Massimo Vitali è nato a Como nel 1944. Si trasferisce a Londra dopo il liceo, dove studia fotografia al London College of Printing. Nei primi anni Sessanta inizia a lavorare come fotogiornalista, collaborando con molte riviste e agenzie in Italia e in Europa. All’inizio degli anni Ottanta inizia a lavorare come direttore della fotografia per la televisione e il cinema. Tuttavia, il suo rapporto con la fotocamera non cessa mai e alla fine torna alla fotografia come “mezzo di ricerca artistica”. Vive e lavora a Lucca e a Berlino.

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