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Giornalista



AL BAR CASABLANCA
CON UNA GAULOISE,
LA NIKON, GLI OCCHIALI
E SOPRA UNA SEDIA
I TITOLI ROSSI DEI NOSTRI GIORNALI,
BLUE JEANS SCOLORITI
LA BARBA SPORCATA DA UN PÒ DI GELATO
PARLIAMO, PARLIAMO DI RIVOLUZIONE,
DI PROLETARIATO.

Questo indimenticabile refrain di una canzone di Giorgio Gaber (Al bar Casablanca, appunto, 1972), la dice lunga su cosa rappresenta Nikon per la fotografia negli anni Sessanta e Settanta. È il mito, la leggenda. Leica che fino a un certo punto della Storia è il sinonimo del 35 mm cede lo scettro a Nikon.
Ci sono ragioni molto pratiche che provocano il passaggio di questo prestigioso scettro, c'è un passa parola.
Nonostante Leica sia ancora usata da molti prestigiosi autori, la fotocamera tedesca finisce per autoconfinarsi nello splendido isolamento del «facciamolo difficile».
Tutto, infatti, è più macchinoso che con la Nikon anche se c'è chi sostiene il contrario.
Non ero digiuno di fotografia allora.

 


Sistema Nikon

Dall'età di dieci anni avevo cominciato a prendere in mano una macchina fotografica, una Rollei 6x6 e una Leica IIIg, poi una Contaflex (ovviamente, subito dopo la Guerra il riferimento era, per chi poteva permetterselo, tedesco).
Diventando più grande mi innamorai di Nikon. Avevo visto Blow up (1966) e la Nikkormat, agile e maneggevole, nelle mani del fotografo di moda (David Hemmings).
Avevo visto Z, l'orgia del potere (1969), dove un giovane giornalista (Jacques Perrin) scatta con una Nikon F motorizzata le fotografie fondamentali di un'inchiesta.
Rimasi sentimentalmente nikonizzato. Ma non solo platonicamente.
Consumavo anche il fidanzamento, con due F motorizzate. A un certo punto feci una scappatella: comperai una M2 con un Elmarit 90 F2, per il ritratto. Avevo letto meraviglie dell'obiettivo, ma forse perché obnubilato dall'amore, per me non c'era confronto con la lente giapponese: Nikon, Nikon, Nikon.

Quelli furono gli anni d'oro della fotografia, in cui moltissimi giovani sognavano di diventare fotogiornalista. Investire ciò che per loro era una fortuna per comperare una Nikon, significava trasformare il sogno in realtà.

 

 


Ne parlavo proprio l'altro giorno con Mauro Vallinotto, uno dei grandi fotogiornalisti italiani, ora photo editor al quotidiano La Stampa. Mi raccontava Mauro, che da ragazzo aveva abbandonato gli studi di ingegneria per la fotografia, al telefono parlando della sua prima Nikon: “Era il 6 giugno del 1967. A Torino faceva un caldo bestia. In Egitto all'alba di quel giorno i carri israeliani erano entrati nel Sinai dando inizio alla Guerra dei 6 giorni.

Ero sceso dal tram numero 13 alla stazione di Porta Nuova con molta circospezione. In tasca avevo 145.000 lire, frutto di fatiche e risparmi di mesi. La mia meta era Foto Ganio, nel vicino corso Stati Uniti, dove in vetrina, come una sposa tanto virtuosa quanto a lungo attesa, mi aspettava una Nikkormat FTn con il classico Nikkor 50/2. Fu la mia prima Nikon, che è oggi ancora perfettamente in forma. La sua pelle sapeva di buono, non come le orribili Zorky sovietiche ingrassate con l'olio di balena. I suoi documenti erano in regola, garantiva la Cofas di Via Sistina 48, Roma.
La coccolavo e la strapazzavo, era lei sola al centro del mio interesse.


 

Per gentile concessione di
Editrice Progresso
Per gentile concessione di
Editrice Progresso